APOLLO E ODINO
La similitudine dantesca che apparenta la Germania ad un'immagine di foresta e l'Italia - invece - ad un giardino si presta, per il suo efficace schematismo, a delineare i tratti divergenti dei caratteri nordici e mediterranei, i cui aspetti dominanti vengono individuati rispettivamente in una forza primaria, selvaggia, ed in una coltivata propensione all'armonia.
Un'antitesi - questa - che, pur essendo venuto meno, nel corso dei secoli, l'ancestrale conflitto fra civiltà e barbarie da cui traeva origine ed avendo smarrito quindi la propria ragion d'essere storica, si è perpetuata nelle culture dei popoli del Nord e Sud Europa, evidenziandosi in fenomeni artistici come il Romanticismo e l'Espressionismo (che, nonostante la loro portata generale, appaiono tipici dello spirito nordico) ed altri, quali il Classicismo o - più vicino a noi - il Cubismo, più consoni invece al bisogno di forma e d'esattezza proprio dell'anima mediterranea. Ancor oggi Jochim Burmeister, direttore del centro culturale tedesco di Villa Romana, a Firenze, asserisce che per "diventare un convincente artista espressivo un meridionale dovrebbe essere un acrobata o un mago" ed egualmente valida può suonare la sconfortata affermazione di Max Klinger, secondo il quale "a noi tedeschi manca una buona preparazione formale, intendo dire agli artisti, e questa mancanza si sente sino alla propria beata fine, se uno è sincero con sé stesso".
Questo "dilemma della bellezza", esaltata nei nostri paraggi ed invece repressa o quanto meno considerata con sospetto nell'area culturale germanica, costituisce il tema della mostra - significativamente intitolata ad Apollo e Odino, divinità-simbolo delle mitologie greca e nordica - che Fried Rosenstock, artista tedesco da tempo trapiantato a Firenze, e perciò "tra due fuochi", ha allestito nelle sale dello Studio Leonardi e di V-idea, con il patrocinio ed il sostegno del Goethe Institut di Genova.
Rosenstock giustappone, nei due ambienti maggiori, quasi specularmente, le forme del suo repertorio (elementi scultorei di ridotta dimensione variamente accostati od assemblati) presentandole dapprima rivestite d'una patina aurea che assolve la funzione di qualificare esteticamente l'opera e quindi in una versione spoglia che esibisce i materiali impiegati (frammenti lignei dall'apparenza casuale, attraversati talora da un cuneo metallico, talaltra sormontati da una maniglia o da una forma per calzature) nel loro disadorno stato originario che appena tollera qualche marginale intervento di colore.
Così all' "Asse di Apollo" (1986/88) - installazione composta di diciannove pezzi verticali dorati, allineati entro un lungo rettangolo in pigmento nero, che la misura perfetta introduce in una dimensione sospesa o, secondo un'espressione di Viana Conti, autrice d'uno dei testi riportati in catalogo, "liturgica" - fa riscontro l' "Asse di Odino, forse l'Arca di Odino" (1988); alla sequenza dei "Nidi di Odino", semplici tronchetti forati, rivestiti d'un colore blu cupo, un'aurea teoria di flauti.
Così ancora, nella serie dei "Gemini impari", i medesimi oggetti si presentano in duplice parvenza, istituendo - come anche l'installazione video, che presenta su due monitors affiancati la medesima persona che impersona contemporaneamente il ruolo d'Apollo su uno schermo e sull'altro la parte di Odino - all'interno dell'opera un vero e proprio "campo di tensione fra nord e sud", fra due concezioni dell'arte che, pur nella reciproca irriducibilità consentono percorsi sorprendenti come quello - citato da Burmeister - di De Chirico, che "riceve il mondo mediterraneo attraverso la mediazione nordica di Böcklin" o la stessa esplorazione "in parallelo" degli universi dell'espressione e dell'armonia intrapresa da Rosenstock.
s.r. (1988)