ARCIPELAGO FIGURAZIONE
Che nell'ultimo quinquennio l'operatività artistica si sia distolta dalle problematiche concettuali (o linguistiche) dominanti negli anni '70, per volgersi alla decorazione, al "bello stile" e, in specie, alla figurazione è cosa che difficilmente potrà esser negata.
Fenomeni macroscopici come Pattern Painting, Transavanguardia, Neuen Wilden, Figuration Libre, Pittura colta (od Anacronismo) ne forniscono prova incontrovertibile. Né, da un raffronto fra la situazione internazionale e le tendenze prevalenti fra gli artisti delle nuove generazioni attivi a Genova, emerge - sotto questo specifico profilo - una discrepanza significativa.
Anche fra questi ultimi, infatti - sebbene inaccostabile, negli esiti concreti, alle tipologie dianzi accennate (forse per effetto di una refrattarietà o di un solipsismo che costituiscono ad un tempo un fattore di forza ed un elemento di rischio) - l'interesse per la figurazione appare profondamente radicato.
Se, come s'è detto, non esistono punti di tangenza fra il lavoro dei giovani genovesi e quello degli esponenti delle aree sopra indicate, nemmeno sembra sussistere, al di là delle relazioni interpersonali e dell'analisi continua delle altrui esperienze, un carattere che legittimi - nell'ambito locale - una considerazione unitaria del fenomeno; a meno di non voler considerare tale appunto il rifiuto di ogni subalternità.
Il problema centrale pare consistere nella ricerca di modalità espressive che, fondate su una tradizione storico-artistica, si palesino nel contempo atte ad insinuarsi nelle pieghe della contemporaneità, a rappresentare (come scrive Giancarlo Gelsomino) "l'idea dell'orrore e della gioia cui va incontro la nostra epoca".
Le opzioni operative si presentano comunque estremamente varie e fra loro dissimili. Si va dalla considerazione dell'immagine come luogo di coagulazione di un complesso discorso dai risvolti ermetici (Carlo Merello) alla concezione della figura come pura sembianza (sottolineata dalla maniera dell'esecuzione) dietro cui si occulta l'Essere (Nicola Bucci); dalle atmosfere in bilico fra sospensione metafisica del tempo ed immersione nel flusso della quotidianità di Giancarlo Gelsomino agli ambienti di Bianca Passarelli che sembrano dissolversi in un gioco (tra rigore ed evanescenza) di linee e colori; o, ancora dalle pareti usurate di Giovanni Job, in cui la luce di Wood scopre la sinopia dei personaggi che vi si sono accostati, alle trame psichedeliche e vagamente klimtiane di Roberto Agus.
Testimonianza (e positiva verifica) di questa ripresa figurativa - nel cui ambito, va precisato, l'attenzione si appunta sulla "figura" umana e sull'"interno" - vengono da due manifestazioni svoltesi a Genova: la prima ("Stanze") proposta da Laura Poggi e curata da Franco Sborgi; la seconda ("Esercizi d'impazienza") presentata dalla Sezione Arti Visive del Circolo BNL. Fra gli artisti presenti in "Stanze", Piero Millefiore, la cui opera si regge su un'ambiguità (od una contraddizione) di fondo fra lo spunto fotografico e l'esecuzione marcatamente pittorica, coniugando schemi iperrealisti all'improvvisazione (meditata ma sciolta) del tratto. In Sonia Armaniaco, invece, centrale è la questione dell'allestimento dell'immagine, che avviene attraverso l'elaborazione - e la combinazione - di altre già date, con un procedimento sicuramente influenzato dalla sua attività di video-maker, piegato tuttavia alle esigenze della trasfigurazione onirica.
Di Roberto Anfossi e della sua ricerca, assolutamente individuale, della resa "fisica" dell'immagine, già si è discorso, di recente, in questa stessa rubrica.
Enrico Ravera, Stefania Rossi, Antonella Spalluto (presenti in entrambe le rassegne) costituiscono invece una sorta di gruppo. Non soltanto, infatti, condividono lo studio (un ampio e disastrato locale di Vico Vegetti) ma si nota, nel lavoro ultimo, un effettivo interscambio formale che tuttavia non sopprime l'autonomia delle esperienze individuali. Se il punto di partenza comune può essere riconosciuto nella fascinazione espressionista, gli svolgimenti di ciascuno dei tre seguono indirizzi assai differenti. In un senso di eccesso, che si traduce anche in un frenetico accumulo di materiali, nell'inserimento di elementi oggettuali (con valenze simboliche) si muove Enrico Ravera; in una direzione più manieristica, che sostiene tematiche luminose o fantastiche, Stefania Rossi, mentre Antonella Spalluto elabora scenari di quieta (e in certo modo realistica) allucinazione.
s.r. (1986)