Hozro: materiali sulle arti visive a Genova







FRANCESCO ARENA E BEATRICE GIANNONI

VEROSIMIGLIANZE

Nell'operazione fotografica, la verosimiglianza (questa "naturalezza illusoria") si considera implicita. Di più: si potrebbe dire che ne integri uno dei tratti costitutivi. Inteso in questo senso il titolo che Francesco Arena e Beatrice Giannoni hanno attribuito alla loro rassegna di elaborazioni fotografiche realizzate con l'impiego del mosso e dell'esposizione multipla si configurerebbe come plausibile ma generico. In effetti, però, la questione si dispiega in termini maggiormente complessi: se da un lato la verosimiglianza permane come dato ineliminabile della fotografia, dall'altro le ricerche qui presentate si applicano a smentirla, a sgretolarne l'ovvietà perseguendo un'immagine che la dissolva nella sfera dell'inedito.
Nei lavori a soggetto giapponese di Francesco Arena, la doppia esposizione (o il "sandwich" di negativi) crea una sorta di duplicità o, forse più esattamente, una reversibilità nella lettura dell'immagine che consente di privilegiare indifferentemente l'una o l'altra delle sue componenti sovrapposte, contraddicendone la parvenza contestuale in un continuo scambio di piani la cui autonomia è preservata da un'avvertibile frattura temporale.
Le cornici oblique, esterne ma anche interne all'immagine, ne delimitano il campo e, al tempo stesso, ne enucleano un particolare, conferendogli un'essenziale pregnanza. I soggetti statuari paiono invece risolversi nella fusione degli elementi sovraimpressi (volti e particolari di superfici ornate) in una compenetrazione di sembianze scabre
Le prove di Beatrice Giannoni si orientano, piuttosto, verso una pratica che disperde il pretesto della still life in una calligrafia di luci e di ombre, nella composizione d'un memoriale di oggetti e di significazioni intime lontano dalla secchezza dell'inventario, entro un perimetro strettamente individuale in cui a concentrazioni d'assoluta chiarità si giustappongono margini bui, a profili di evidenza trasfigurata l'annullamento scandito del valore luminoso.

s.r. (1987)

 

INTERAZIONI

Che cosa sa, il mio corpo, della fotografia? O - rovesciando il dettato dell'interrogativo barthesiano : che cosa sa, la fotografia, del corpo? E la pittura?
Incontestabilmente la figura-corpo è fra quelle che non possono eludersi. Qui assoluto, punto d'incontro e di ribaltamento fra interno ed esterno, carne del mondo, occupa lo spazio che si apre fra la percezione sensoriale immediata ed un illimitato orizzonte metaforico. Veniamo perciò indotti a ritenere che il suo costante riemergere fra le rapporesentazioni artistiche abbia a che fare più con il destino, se si vuole, che con il semplice sguardo, o - altrimenti - che sia la connotazione forte del corpo, insieme di significati vissuti, a determinare lo straripamento passionale, il transfert di forze dal campo della vita a quello della pittura (o della fotografia).
Ci si domanda se sussista, in fatto, una radicale divaricazione fra le due discipline. E' lecito dubitare, ormai, della consistenza del distinguo tradizionale che vuole la fotografia ancorata - per così dire - al referente concreto. Benché l'immagine fotografica incorpori, in ogni caso, il proprio soggetto (giacché inquadra, comunque, un fenomeno) se ne distanzia tuttavia, per caratterizzazione stilistica, in guisa non meno pronunciata di quanto non accada per la raffigurazione pittorica. Il discrimine effettivo sembra risiedere nelle concrete modalità tecnico-operative (l'essere la pittura affidata alla manualità e la fotografia ad un processo chimico-fisico) più che in una determinazione di "verità" della prima e di "esattezza" della seconda o - come vorrebbe Weston - nell'atteggiamento creativo (in certo senso prevaricatore della realtà) o ricettivo-indagatore dell'artista.

corpo freddo

La tecnica fotografica stabilisce infiniti contatti fra luce e materia.
Così, nelle immagini di Francesco Arena, la presenza del soggetto (il nudo che attraversa od occupa il campo del fotogramma) si dissolve nella perlustrazione della figura scandita dalla luce. Il contrasto dispiegato fra i toni chiari, freddi, e la profondità - graduata, ma senza nuance - delle ombre sembra negare il corpo come luogo di vita e tendere ad una sua definizione inespressiva. Nel contesto impassibile, indifferente all'individualità dei modelli, il corpo si dispone come pretesto di verifica formale, una composizione di volumi su cui la luce può arrestarsi, di- stribuendosi (riflettendosi, quasi, per sovrabbondante intensità) sulle superfici in aggetto ed affondando tra le incavature delle membra. L'abolizione dei volti accentua il carattere impersonale dell'immagine, che si colloca al di fuori di ogni prospettiva temporale, immobilizzata dalla posa - che forza con una leggera innaturalità dell'atteggiamento un equilibrio altrimenti troppo agevole - in una condizione statuaria.

corpo vuoto

"Il volto umano non ha ancora trovato la sua faccia ..." - ha scritto Artaud - "è una forza vuota, un campo di morte".
La forza del vuoto, l'assorbimento ed il trasudare della materia nel dipinto, frammento veloce strappato ad una sequenza di possibili, connotano invece la pittura di Antonella Spalluto, incline a ripetere nella provvisorietà del segno-gesto il carattere mutevole e indeterminato dell'esperienza vitale. Il tratto definisce, contornandola, la vuotezza del corpo, separandolo e saldandolo al tempo stesso alla spazialità circostante attraverso un "disegno fondamentale" in cui l'appunto mnemonico si converte in nervatura dell'essere. Gli addensamenti cromatico-materici, svincolati da funzioni meramente descrittive, danno accesso ad un livello sostanziale (di sub-stantia), testimoniando - nella loro tensionalità espansiva - l'urgenza di un contatto con la realtà non mediato dalla trasposizione figurale, di una prossimità al mondo che, nel momento stesso in cui appare raggiunta, si rivela pur sempre inattingibile.

s.r. (1988)

 


FRANCESCO ARENA

Dalla fotografia alle composizioni realizzate assemblando oggetti di produzione industriale, dal video alla installazione: gli interventi artistici di Francesco Arena si muovono con naturalezza fra le modalità artistiche più consone alla contemporaneità. Sin dagli esordi che lo vedevano salire alla ribalta ventenne, nel 1986, con una serie di lavori fotografici incentrati su una ripresa non convenzionale del corpo, si poteva cogliere nella sua opera l'intento di sperimentare le possibilità inedite del mezzo impiegato e, insieme, l'aspirazione a condensare nell'immagine un messaggio capace di riflettere le tendenze culturali ancora sommerse del nostro tempo. Il corpo, moltiplicato e slabbrato da Arena attraverso le sovrapposizioni dei negativi, declinava già, seppur embrionalmente, quel processo di "artificializzazione" della componente fisica dell'individuo che avrebbe trovato piena espressione negli anni '90 in mostre come "Post-human" allestita da Jeffrey Deitch in vari musei europei. In seguito la sua ricerca sembra esser passata gradualmente dalla identità fisica alla dimensione esistenziale della persona, tratteggiata con la mediazione di "pensieri sospesi e frasi inquietanti" che - come hanno scritto Paola Magni e Ludovico Pratesi, nel presentarne la partecipazione a "Blue", una rassegna delle giovani tendenze italiane allestita nel 1998 in uno spazio adiacente alla multisala Cineplex - negli ultimi video "accompagnano le immagini, dando allo spettatore la sensazione di leggere nella mente dei personaggi, che si dilegua con essi, come in un sogno".
Negli anni il suo percorso si è arricchito non soltanto di eventi incisivi sul piano della riuscita artistica come "Oltre", una installazione realizzata nel 1993 alla Galleria Leonardi V-idea, dove cento lampade da bricolage, sospese al soffitto, si accendevano illuminando l'immagine seriale d'un cielo velato di nuvole, in un gioco ironico ove, una volta ancora, si artificio e natura si legavano inestricabilmente, ma di sempre più frequenti presenze in sedi nazionali ed internazionali. A partire dal ciclo di mostra promosse da Miriam Cristaldi agli inizi degli anni '90 sotto l'insegna dell'"Arte come evocazione", all'esperienza con il gruppo ACE, Arena si è mosso tra Genova, Torino, Milano e Roma, e - fuori dai confini italiani - in Germania, in Francia, Svizzera e Danimarca. Ma a dare peso ad un pronostico favorevole sugli sviluppi futuri del suo lavoro è soprattutto la forza e la capacità di ferire raggiunta dalle sue immagini: come la grande foto appartenente alla serie "Still life for lifelike people" (1998), che raffigura due mani in atto di sorreggere un cervello inciso di sbieco da una lametta: una "messa a nudo" del vivere che dal cuore (e dal lacerante sentire) baudelairiano passa alla temperie "pulp" e cannibale del nostro tempo, per riportarci attraverso lo shock, oltre la cortina dell'indifferenza quotidiana.

s.r. (gennaio 2000)







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