SONIA ARMANIACO: INTERIEZIONI!
Si è a lungo opinato che la fotografia (il cinema, il video, il computer) avrebbero esautorato la pittura. Oggi - paradossalmente - sembra sia quest'ultima a sopraffare l'inquadratura fissata dall'obiettivo fotografico o dalla cinepresa.
Le due congetture divergono radicalmente. La loro inconciliabilità (e il loro stesso fondamento) non sono però tali da non consentire di destreggiarsi fra l'una e l'altra, ciò che appunto fa Sonia Armaniaco, alternando con disinvoltura la produzione di video-clips all'incisione di acqueforti.
Chi volesse pertanto ipotizzare l'esistenza di una complementarità fra le tecniche espressive tradizionali e le sofisticate apparecchiature di cui ci è dato fruire rischierebbe tuttavia l'equivoco. Con più esatta approssimazione si può asserire di trovarsi - qui - dinanzi ad un continuo ribaltamento di polarità che si implicano a vicenda, da cui l'immagine (non mera sembianza ma schema di tensione) viene condotta a "incorniciarsi nella sua analogia", a "guardarsi nella sua corrispondenza" (Baudelaire).
Il tentativo è di afferrarne, a un tempo, l'immediatezza e la tenacia; di designarne il "troppo" che vi è contenuto, oltre le apparenze che l'ingombrano.
Di queste aspirazioni testimonia, anche, il conflitto latente fra l'istantaneità dei fotogrammi che per lo più sono alla radice di questi lavori e la prolungata morsura dell'acido sulla lastra; l'azzardo di una ripetizione tenuta in scacco dall'impossibilità di riconoscersi identica. Tematicamente, l'inventario dei "tipi" patologici e geniali (tratti dalle catalogazioni lombrosiane, da Gericault, dai ritratti di Nadar) - equivalenza che fra essi si determina - rimarca il distacco da ogni opzione catartica. L'immagine si sostituisce alla vita come luogo di coagulazione del pathos; smorfia, bacio, arguzia, ebetudine, sguardo, si mescolano in un cerimoniale di perfezione lancinante.
s.r. (1985)
DEMONTAGE
Figure che oscillano nel ralenti, apparizioni di volti nella folla, non petali gli uni, non ramo umido nero l'altra (come li videro gli occhi cinesi di Pound) ma fluire anonimo, indistinto, di cui la voce recitante denuncia l'artificio. In tuta, il manichino erra (è un procedere che non suppone mete, che non trova direzione o limite se non nell'obiettivo) tra scorci di un panorama quietamente delirante, vuoto - come ripete un'eco sibillina, in sottofondo - di memorie, sotto un "portico severo" che nulla sembra turbare.
All'immagine in movimento, mentre stride ritmica la musica di Penderecki, si sovrappone un collage di sguardi estratti da lontananze patologiche, fredda istantanea di gruppo attorno all'omicidio solarizzato di Lee Oswald.
Poi, da un volto matrice, più volti: uguali, diversamente variopinti, ibernati nel colore.
Immobilità, ancora. In una pupilla dilatata si specchia una deflagrazione. Una ciocca bionda sullo schermo cattura i titoli di coda.
s.r. (1986)
SONIA ARMANIACO: INTERMISSION
Intermission (interruzione) è il titolo di una installazione video di Sonia Armaniaco allestita nei locali di Sabatino Arredamenti (nel contesto di una manifestazione più ampia, che contempla l'esposizione di lavori di Stefano Grondona, Bianca Passarelli e Alberto Terrile) nel mese di ottobre.
L'interruzione cui il titolo allude è rappresentata dalla linea d'orizzonte fra mare e cielo che percorre verso l'alto l'intero quadro del monitor, sino a ribaltare l'immagine, facendo sì che il cielo appaia sovrastato dal mare. A questa prima è mixata una seconda immagine (elaborata graficamente al computer): un occhio che, in luogo di fissare l'orizzonte, ne viene attraversato, sprofondando dal cielo in mare. Il senso che se ne ricava è quello di un evento, di una modificazione smentita dal ripetersi indefinitamente identica. Il monitor (occhio virtuale su cui si concentra lo sguardo) integrato fra gli arredi del negozio, è sospeso a mezz'aria, racchiuso in un foglio di cellophane idoneo a trattenere le parvenze d'acqua e d'aria che alternate vi si riversano.
s.r. (1986)
SONIA ARMANIACO: ESERCIZI D'IMPAZIENZA
Traspare evidente da questa personale al Circolo BNL la duplicità che percorre l'opera di Sonia Armaniaco.
Ad un livello esplicito si identifica la fascinazione esercitata dagli apparati tecnologici (i media elettronici sperimentati nella pratica video, in specie) dai quali vengono desunti numerosi pretesti formali (i circuiti-tapisseries degli sfondi) e talora la stessa impaginazione segmentata del lavoro, la cui realizzazione viene concepita come una sorta di montaggio, e contempla una vera e propria colonna sonora.
A questa modalità (o grado) di letura - ed anche , è ovvio, a quella del linguaggio pittorico in senso stretto - deve aggiungersene una ulteriore, avvalorata da non trascurabili riscontri testuali ed atta a porre in luce l'essenza onirica (e simbolica) di queste opere.
Diverse sono le spie che, com maggiore o minore immediatezza, segnalano questo carattere.
Una prima concerne lo sguardo che le figure effigiate singolarmente occludono o distolgono, quando non è propriamente oscurato o "tagliato via" dal quadro, come avviene nel dipinto paradossalmente intitolato Look at me.
Altre sono date rispettivamente dall'aria e dall'acqua che invadono entrambe (inavvertibile l'una, ostentatamente l'altra) la scena immettendola in un ambito di mobilità e d'inconsistenza che rinvia direttamente all'universo del sogno.
Vengono alla mente gli studi bachelardiani: L'air et les songes, L'eau et les rêves. E si può ricordare, con Starobinski, che non a caso, nella stessa Traumdeutung freudiana, "il sistema metaforico predominante è quello del flusso delle 'quantità', della 'corrente' dell'eccitazione, dell'affiorare della pulsione…"
Ma non è questa la sede idonea per approfondire un simile spunto oltre i limiti dell'accenno. Che rimane tuttavia essenziale anche per dar ragione di alcune scelte espressive e tecniche: l'impiego del pastello ad olio, che consente una definizione precisa ma, nel contempo, non eccessivamente compatta e pressante della figura; l'uso della vernice pastificante che "raffredda" l'impatto visivo del quadro, sigillandolo in una pellicola trasparente, quasi impercettibile, che rimarca l'inafferrabilità dell'esperienza onirica.
s.r. (1987)