Hozro: materiali sulle arti visive a Genova





Ronan & Erwn Bouroullec, Lit Clos, 2000



ARREDARE LA CASA, ABITARE IL MUSEO

Accade di rado che una casa venga trasformata in museo. Ma, per infrequente, il fatto non sorprende. Può invece sconcertare che, all’opposto, un museo cerchi di mutarsi in una casa. A tentare quest’impresa controcorrente (e, anche per questo, ricca di sollecitazioni) è la rassegna “Arredare la casa, abitare il museo”, ordinata a Villa Croce, nel quadro delle manifestazioni di GeNova 2004, da Katia Boudin, direttrice del FRAC Nord-Pas de Calais, in collaborazione con Sandra Solimano.
E’, beninteso, una casa del tutto particolare quella che si scopre nel percorso che dalle rimesse, attraverso le sale di rappresentanza e gli spazi domestici, conduce alla mansarda. Nei diversi ambienti, le opere di artisti riconosciuti sul piano internazionale o di giovani emergenti, affiancate a lavori di design appartenenti alla collezione del FRAC, danno vita ad un gioco allusivo, che rinvia all’una od all’altra delle funzioni cui sono adibite le stanze di un’abitazione: la cucina, il soggiorno, il riposo. Al di là del tratto d’arguta provocazione che l’allestimento evidenzia, la mostra solleva una serie di questioni connesse al vivere quotidiano, alla dimensione dell’intimità, ai modelli di consumo, al desiderio d’evasione. Così le trappole di Andreas Slominski nel seminterrato non si limitano ad evocare la cattura d’un topo - che compare lì accanto, in un’installazione video di Bertrand Gadenne - ma rimandano alle componenti costrittive della dimora (la casa come prigione). Analogamente “Le Reproducteur” di Gilles Barbier, raffigura in forma grottesca il circuito del consumo e delle pulsioni sessuali che perpetuano l’esistenza di un organismo ridotto ad un ventre debordante, mentre Olivier Blanckart installa in una delle rimesse un gruppo di marginali, ripresi da una inquadratura di Walker Evans, sottolineando l’effetto di presenza che la scultura, pur realizzata con materiali di scarto, assume rispetto all’immagine fotografica. Nella sala conferenze ci s’imbatte in “Speech Bubbles” un’installazione realizzata da Philippe Parreno con palloncini gonfiati d’elio la cui forma è modellata sulle “nuvolette” dei cartoons, che par trasporre visivamente la conclamata volatilità della parola.
Olga Boldyreff propone le sue curiose decorazioni di filo lungo lo scalone riproducendo, in un’ideale collezione di souvenirs, oggetti e immagini colte nei suoi viaggi. Nei lavori esposti al primo piano s’individua una riflessione sugli spazi del riposo, nelle camere da letto di Silvie Fleury (chiassoso e sghembo omaggio a Claes Oldenburg), di Dominique Gonzales-Foerster (in una tonalità arancione che induce uno stato d’animo meditativo), tematica da cui si distaccano invece la “Cabane eclatée” di Daniel Buren, che sfida il limite costituito dal perimetro della stanza, trasformandola in una sorta di labirinto, ed il “Tappeto volante” di Ettore Sottsass, protagonista della “chambre pour s’echapper”.
In mansarda l’infantile e caotico “Bordel Sacré” creato da Charlemagne Palestine con una marea di giocattoli e d’animali di peluche sparsi sul pavimento, accanto alla parvenza fantasmatica d’un manichino di Tony Oursler ed al “Recreational Lounge” di Rikrit Tiravanija, dove il visitatore, al termine dello sforzo contemplativo, è invitato a rinfrancarsi con una partita a calciobalilla. Chiude l’itinerario uno degli elementi di punta dell’arte francese d’oggi, Pierre Huyghe con un’installazione musicale che postula anch’essa l’intervento del pubblico e che, rendendo omaggio a John Cage, riporta al tempo in cui affondano le radici di queste spericolate investigazioni: gli anni di Fluxus, del britannico Independent Group, del New Dada statunitense e dell’Architettura radicale.

s.r. (2004)





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