ASTRAZIONE POVERA
Negli ultimi anni i segnali di un ritorno all'astrazione (tanto nelle sue declinazioni informali che in
quelle di matrice geometrica o costruttivistica) sono andati intensificandosi. Come episodio di questa
revanche, per ora solo abbozzata nei confronti di transavanguardie e neo-espressionismi può
interpretarsi anche la mostra in corso presso lo studio Ghiglione, significativamente intitolata "Astrazione
povera", cui prendono parte sei pittori di area romana: Gianni Asdrubali, Antonio Capaccio, Bruno Querci,
Lucia Romualdi, Mario Rossano e Rocco Salvia.
L'ipotesi critica che ad essa presiede (tralasciamo volutamente i collegamenti azzardati da Fulvio Abbate
con il lavoro di Yves Klein e di Piero Manzoni o - anche - di Joseph Beuys, che appaiono se non
manifestamente infondati quanto meno inverificabili) è quella, formulata da Filiberto Menna, di un
"fare artistico che punta sulla praticabilità di un'idea di costruzione, movendo da un atteggiamento
preliminare, in qualche modo fondativo, di riduzione". In questa disposizione - e nei lavori che ne
discendono - consisterebbe ad avviso di Menna il grand tournant che al di là di ogni supposta
alternanza fra momenti artistici "caldi" e "freddi" (ottica in cui si inscrive invece una manifestazione
del tipo di "Nuove Geometrie", curata da Flavio Caroli, attualmente in corso di svolgimento a Milano)
dovrebbe preludere ad un nuovo ordine dell'arte contemporanea, contraddistinto dal concentrarsi
dell'attenzione "sulla relazione interna dei segni" e, più in generale, sulla "dimensione mentale,
riflessiva".
Se il tela della riduzione risulta leggibiled con chiarezza nel lavoro degli artisti in mostra, da cui
sono espunti sia l'immagine-icona che il colore (operazione d'altronde non nuova), assai meno percepibile
è il risvolto costruttivo, che può considerarsi presente solo applicando criteri estremamente lati e, di
conseguenza, scarsamente qualificanti. Ad onta delle asserzioni di Menna ciò che sembra latitare, in
questo raggruppamento, è proprio uno specifico, ancorché differenziato, intento di costruttività, che
possiamo rintracciare - sebbene in termini alquanto schematici - nel solo Asdrubali.
Il clima, al di là del conclamato superamento di ogni forma di citazionismo, pare in realtà profondamente
radicato nel sistema (per cui non proviamo alcuna simpatia) dell'ideologia postmoderna. Non è necessario
uno spirito particolarmente maldisposto per intravedere in Rocco Salvia un postsurrealista (lo fa anche
Abbate, infatti); per cogliere in certe cose di Rossano remakes in bianco e nero di Clyfford Still,
per scorgere in Querci un epigono dell'astrattismo "anni '50" o in Capaccio un cultore del trompe-l'oeil.
L'impressione complessiva è di trovarsi di fronte - anziché ad un lavoro improntato ad un comune
atteggiamento verso la creazione artistica, diversificato negli esiti in funzione delle differenti
soggettività operanti - ad un eclettismo dissimulato, il cui unico denominatore comune (peraltro del
tutto estrinseco) sia costituito dall'impiego del bianco e nero.
Nel dibattito svoltosi il giorno successivo all'inaugurazione della mostra, Menna ha difeso la sua
impostazione, glissando su osservazioni del genere di quelle sopra esposte e spingendosi sino a contestare
la mancanza di "un minimo di intelligenza" (sic!) in chi, svolgendo argomentazioni affatto pertinenti,
mostrava di non condividerla.
Per quel che ci riguarda, delle capacità intellettive di Menna non dubitiamo (a prescindere da ogni
altro merito ammiriamo in lui l'autore di volumi fondamentali come "Profezia di una società estetica"
e "La linea analitica dell'arte moderna"); a nostro parere, tuttavia, l'intelligenza si rivela di
scarsa utilità quando si tratta di arrampicarsi sugli specchi.
Nota:
Per dare a Caroli ciò che gli spetta, aggiungiamo che "Nuove Geometrie" si presenta - nonostante l'apertura
internazionale dell'indagine (talora soltanto dichiarata: dov'erano i lavori di Peter Halley?) - come una
mostra di estrema superficialità. Non si comprende, ad esempio, l'inserimento di talune opere di Franz
Vana che inclinano con evidenza al pattern painting, di altre della Kowanz, in sostanza informali,
o di Evelyne Egerer che lo stesso Barilli (ovviamente di parte favorevole) definisce "oggettini preziosi".
Per non dire della presenza di Mendini.
Di gran lunga più seria e attendibile, l'estate scorsa a Nizza (CNAC Villa Arson), "Tableaux abstraits"
che pur con qualche comparsa impropria (da Ben a Sherrie Levine, da Lichtenstein a Warhol) presentava
numerosi artisti la cui assenza alla rotonda di Via Befana si fa sentire: John Armleder, Heinrich Dunst,
Helmut Federle, Olivier Mosset, John Nixon, Blinky Palermo, Gerwald Rockenschaub, Peter Schuyff.
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