PER UN INSEGUIMENTO (NINO BERNOCCO)
La lumière est batie sur un abîme, elle est tremblante,
hâtons-nous donc de demeurer dans ce vibrant sejour.
Philippe Jaccottet
Per la generazione di artisti venuta alla ribalta fra gli anni cinquanta e sessanta, e in particolare per coloro che più direttame hanno operato in una temperie naturalistica, il superamento dall'immagine, se non realistica, individuata, riconoscibile, del paesaggio per una pittura che più strettamente legasse "il cuore umano alla vita della terra, delle acque e dell'aria", rappresentava la meta da raggiungere. Si trattava di dar corpo ad un "neonaturalismo" che sviluppasse conseguentemente l'intuizione racchiusa nel lavoro dell'ultimo Monet, che - scriveva allora Francesco Arcangeli - "trascende il realismo ottico degli oggetti specifici in una convenzionale illusione di spazio, per raggiungere la realtà dello spazio come mistica essenza separata dai suoi specifici". Su questa traccia si è mossa, anche in Liguria (e con una sensibilità peculiare, cui in sede storica non è stato ancora attribuita una adeguata collocazione, una prolungata ricerca, animata da autori come Gianfranco Fasce, Luiso Sturla, Raimondo Sirotti, che - pur legandosi ai linguaggi dell'informale italiano ed europeo - seguivano cadenze essenzialmente autonome, attente o addirittura "travolte", come notava Franco Sborgi, "da un'esplodere dei valori della luce e della pittura".
In uno scenario come questo, non il ripristino del "realismo ottico" ma la riconquista del valore dell'immagine, la ricomposizione del legame fra gli aspetti costruttivi e luministici del paesaggio, poteva nuovamente profilarsi come una sfida. Ma il peso di una tradizione ancora operante ne oscurava, in certo modo, gli obiettivi. Non sorprende allora che, iniziando attorno alla metà degli anni '70 il suo percorso espositivo, un artista legato intimamente alla suggestione paesistica e incline ad "esprimere in positivo e in filigrana lo spirito genetico di tutte le sollecitazioni organiche dell'universo" scegliesse di effettuare uno scarto, una sorta di "mossa del cavallo" che gli consentisse di prendere momentaneamente le distanze dalle soluzioni che gli apparivano più prossime e forse incombenti, e di procedere da una variante - la "parafrasi della natura" elaborata da Sutherland - incentrata sull'attivazione di un processo capace di produrre, per metamorfosi dell'esistente, nuove sequenze di forme.
Da questa posizione (relativamente) eccentrica, documentata da una personale tenuta nel 1974 presso la Galleria di Palazzo Doria, Nino Bernocco dà avvio ad una ricerca mutevole nei modi e nei soggetti, graduale nel processo, ma - in sostanza - dotata sin dall'origine di intenzionalità precise.
"Fra Sutherland e, per un qualcerto verso, Bacon, si insinuava l'uragano di Pollock" - scriveva Germano Beringheli nel presentarne una rassegna ospitata nel 1987, nel suo spazio chiavarese, da Cristina Busi - "anche quando la pasta, distesa in superficie, si sfaceva più tenera in luci che risignificavano il clima, la temperie d'una dipendenza osservativa di estrazione naturalistica". Se il richiamo della lezione pollockiana avanzato dal critico genovese non sembra, retrospettivamente, del tutto appropriato, certo nella prima fase post-informale il dinamismo spiegato nel tratto dall'artista si delinea accentuato, pervaso come appare dall'irruenza degli scuri tratti ascendenti che contraddistinguono i lavori (dell'82) esposti alla Galleria San Marco dei Giustiniani. Ma già allora, nella tela intitolata "Ulivi a San Fruttuoso di Camogli" e, quindi, nei cartoni dedicati alla serie delle "Bouganvillee", l'accumularsi dei segni rivela una trama d'immagine, che sul finire del decennio (e proprio in alcuni dipinti esposti da Cristina Busi, come "La vetrina del fioraio" o "Natura morta con girasole", entrambe del 1987) acquisisce una struttura più definita, sottolineata dalla corposità della materia pittorica.
Lo schema della veduta scaturisce gradatamente dall'ispessirsi, dal farsi massa (talora quietata, come nei casi di cui si è detto, o negli schizzi bellissimi del disgelo a Chamois, tutti giocati su accostamenti di toni verdi e bruni; talora invece innervata da deformanti tensioni) del tratto pittorico, dal suo dilatarsi nello spazio. Ed è un'immagine ormai rinsaldata, ritrovata appieno, quella che si scorge nei quadri del ciclo "L'altra Quarto", eseguiti nel 1993 all'interno del complesso dove era situato l'ospedale psichiatrico di Genova. Qui la corsività gestuale che in precedenza attraversava il dipinto sembra ritrarsi negli addensamenti di colore fauve riversati nelle singole campiture, mentre la luce che irrompe dai finestroni negli scorci di ripostigli o latrine, annuncia uno scatto verso una dimensione ulteriore.
"Ordine e caos, casualità e progetto, masse compatte e trame di linee: nelle vedute di Bernocco la fluidità e l'organicità della materia pittorica, eredità ormai consolidata e interiorizzata dell'esperienza informale, portatrice di una carica di energia ed emotività, sono contenute e organizzate in strutture che si fanno sempre più armoniche ed equilibrate, si compongono in architetture sempre più stabili". Così Marina De Stasio descriveva nel 1994 l'avanzare dell'artista, allora impegnato sul versante delle "Periferie", verso la definizione di un personale "naturalismo urbano". E proseguiva: "La vibrazione è portata all'interno della materia: non c'è l'intento di esternare, di sottolineare enfaticamente, ma di approfondire".
E appunto questa volontà di approfondire, di portare in primo piano la vibrazione della luce diviene il tema portante della sequenza pittorica dedicata al centro storico di Genova, presentata dalla Galleria San Bernardo nel 1995. In lavori come "Luce grigia in via Mura delle Grazie" o "Campo Pisano", in cui sembrano risuonare gli echi della lezione di Verzetti, l'abbandono della materia per una stesura di soffusa chiarità è ormai un fatto compiuto, che nelle "Demolizioni" dell'anno successivo trova conferma.
Avrebbe potuto dirsi a questo punto concluso l'inseguimento dell'immagine - di un'immagine dove l'emotività, temperata, si risolve in lirismo e l'attenuazione della gamma cromatica, ristretta ai toni rosati, agli azzurri pallidi, ai grigi, cattura un'uniforme trasparenza - così a lungo coltivato dall'artista. Ma si trattava, ancora, dell'evocazione di una grazia contingente, per quanto aerea e rarefatta; di un sortilegio legato all'attimo sorpreso in una sua fuggente serenità.
Spingersi oltre, verso il nitore assoluto, metafisico, verso la visione lucida che si colloca oltre il tempo, oltre la memoria; toccare una forma serrata e come cristallina: è questo il limite che Bernocco ricerca negli scorci raccolti in questo volume, ispirati dal silenzio del mare ligustico. Dove la luce si arresta nel suo bagliore ultimo per abitare una dimora d'acqua e di rocce.
(s.r. 1998)