Hozro: materiali sulle arti visive a Genova





BRUNO REPETTO

La vicenda contemporanea delle arti visive costituisce un campo nel quale con particolare frequenza si registrano distorsioni temporali. Spesso di segno contrario, così che - nel lungo periodo - questi sfalsamenti paiono destinati ad annullarsi. Le tendenze artistiche vagano nel tempo, avvicinandosi all'oggi o facendosi risucchiare nel passato. Da un anno all'altro mutiamo d'abito, rivestendo volta a volta i gilets di Balla o la tuta di Rodcenko, le mises simultanee di Sonia Delaunay od il cappello di Beuys. Al di là dei revivals, più o meno apprezzabili, e dell'ostinazione degli epigoni, vi sono fenomeni che persistono a riaffiorare, manifestandosi in forme talora assai distanti dall'esempio antecedente. Uno di questi, che Roberto Pasini ha definito per il suo dispiegamento transtorico un iperstile, è l'informe, che - da Leonardo a Monet ed oltre - si organizza però secondo un modello relativamente stabile: la macchia, la nuvola. Al polo opposto lo schema costruttivista, che - seppure esaurito come corrente storicamente individuata, dura e pura, bolscevica e filotecnica - in tempi recenti si è reincarnato non solo in esperienze la cui ascendenza è immediatamente riconoscibile (arte cinetica, minimalismo, neo-geo) ma in démarches apparentemente estranee alla disposizione originaria come la Land Art e l'arte concettuale. Basta, senza ricercar troppo, ricordare le Linee di Richard Long nel primo ambito e quelle di Piero Manzoni nel secondo.
Il riemergere dell'aspirazione costruttiva, comporta - sempre più spesso - oltre al coinvolgimento di ambiti inusuali (come nel caso, già accennato, della Land Art) quello di tecniche diverse dalla pittura e dalla scultura. L'installazione, ad esempio (con Morellet o Sayler), e la fotografia.
Per quest'ultima indubbiamente già esisteva una tradizione costruttivista, concentrata però sul versante del fotomontaggio (Lisitskij, Rodcenko, Moholy-Nagy, Zwart). Un approccio diverso è sperimentato negli anni '30 da Marta Hoepffner, con un "omaggio" a Kandinskij, realizzato in camera oscura, applicando direttamente le forme geometriche sulla carta sensibile, illuminata in seguito per far emergere il disegno.
Analogo per certi aspetti all'esempio della fotografa tedesca - ma per altri antitetico - il procedimento adottato da Bruno Repetto nel lavoro che persegue dalla metà dello scorso decennio. Il principale tratto di somiglianza è rintracciabile nella predisposizione (nella vera e propria "costruzione") della struttura risultante nella fotografia, mentre un sostanziale divario si registra a proposito dell'uso dell'apparecchio e dell'ambiente in cui viene effettuata la ripresa.
Repetto prende partito per la fotocamera ed il plein air, utilizzando il cielo (alterato e reso compatto cromaticamente da filtri polarizzanti) come sfondo per le sue quinte geometriche in plexiglas e cartoncino.
In esse il vocabolario costruttivista viene utilizzato senza dissimulazioni: il cuneo rosso di Lisitskij tiene campo, così come il caratteristico impianto fondato sulla diagonale.
Ma, nel contempo, l'uso dell'apparecchio e dello scenario naturale preservano un certo margine di azzardo, l'irripetibilità del risultato, dando luogo ad un'immagine non "riprodotta" dal vero, ma di fatto esistente solo nella pellicola.
Nelle ultime prove si registra un processo di semplificazione dello schema compositivo, sino a lasciare in campo un solo, grande elemento angolare. Ad esso fa riscontro l'introduzione nell'immagine di una polarità antitetica, che alla essenzialità geometrica oppone la varietà della natura, colta nei profili ondulati delle colline genovesi e, più ancora, nella spaziata distesa di nuvole che viene ad animare d'impalpabile fisicità lo sfondo, dando corpo all'aspirazione riflessa nel verso programmatico di Majakovskij: irromperemo nell'azzurro spalancato del cielo.

s.r. (1996)





HOME PAGE

ARCHIVIO ARTISTI

MOSTRE A GENOVA