LUCIANO CAVIGLIA
Il confronto costante con la vicissitudine dell'uomo contemporaneo, segnata dalla violenza e dalla alienazione, sostanzia - al di là delle molteplici sfaccettature formali - l'intero percorso pittorico di Luciano Caviglia, sin dagli esordi attorno alla metà degli anni cinquanta. A testimoniare l'essenziale continuità dell'opera dell'artista, che sovente ha incentrato le sue personali su cicli tematici fortemente caratterizzati (quali "La caduta dell'angelo", 1979; "Uomo disumanizzato", 1982; "I labirinti", 1990, tutti esposti alla Galleria Il Punto) è l'antologica allestita nel Museo di Sant'Agostino, ove sono raccolti lavori realizzati nell'arco dell'ultimo trentennio, dal 1965 al 1996.
Già negli anni della formazione, durante i quali Caviglia frequenta a Genova (dove è nato nel 1926) corsi di disegno ed affresco presso il Centro Artistico Maragliano, il clima culturale, caratterizzato da influenze marxiane ed esistenzialiste - come rammenta Germano Beringheli nella monografia che affianca la mostra - induceva l'artista a porre "il suo primo modo di considerare, attraverso la pittura, l'uomo in una sorta di rapporto coscienza-universo tutto da verificare e da accogliere con accanita intensità di dialogo".
Nella ricerca figurativa di Caviglia, accanto alla meditazione dell'orditura spaziale cubista ed a saggi d'impronta materica, si manifestano - nella fase iniziale - le influenze dell'espressionismo nordeuropeo e di un autore come Sironi, decisive per aggirare l'impasse del realismo d'osservanza guttusiana, cui gli artisti più giovani (ad esempio il gruppo milanese del "Realismo esistenziale") rimproveravano "l'eccessiva preoccupazione ideologica, che rischiava di diventare precettistica" (De Micheli).
E' per questa via che il nostro si accosta alla tendenza che negli anni '60 - pur mancando, secondo un rilievo formulato da Enrico Crispolti, "di un codice formale piuttosto definito" - doveva affermarsi sulla scena europea sotto il nome di "Nuova figurazione".
I profili deformati e contratti dei personaggi effigiati nei dipinti con cui si apre la rassegna esibiscono una tensione che talora assume cadenze grottesche (come ne "L'oratore", 1965, la cui mano gigantesca sembra comprimere un gruppo di stravolti comizianti) mentre attinge, più sovente, una dimensione autenticamente drammatica, quale si avverte ne "La violenza" (1969) dove le figure maschile e femminile compaiono aggrovigliate in una stretta funesta.
Durante il decennio successivo - con l'eccezione del ciclo dedicato alle "Poltrone del potere", 1977, non documentato nella mostra - lo studio del pittore si sposta dal personaggio o dall'evento emblematico al rapporto tra la figura e l'ambiente, in sintonia con la lezione di Bacon, riducendo (nella "Composizione in ambiente e figura", 1977, ed in altri lavori coevi) la presenza umana ad immagine spersonalizzata circoscritta nel vuoto d'una stanza.
Da uno spunto baconiano sembra muovere anche la cancellazione dei volti con bande curvilinee la cui chiarità appena velata d'ombra contrasta, nella serie delle "Teste di personaggi disumanizzati" (1978), con i toni bruni dei busti e degli sfondi.
Al decennio in atto appartengono le "Dissolvenze" (1994/95), quadri popolati di forme spogliate non più soltanto dei tratti individuali ma della corporeità stessa, degradate ad una condizione fantasmatica, ove l'ultima traccia dell'identità umana sembra in procinto di perdere definitivamente i propri contorni. Ma, toccato questo limite, come in un ostinato contrappunto riemergono nella pittura di Caviglia le immagini dell'"Umanità" (1995), i "Personaggi" (1995), l'ambiente urbano ("Nella città", 1996), a testimoniare l'insopprimibilità dell'impegno - che Davide Lajolo intuiva nel suo lavoro - "a salvare, in questo mondo cinico, sempre in metamorfosi d'ipocrisie, l'integrità dell'uomo come della materia".
s.r. (1997)