MARC CHAGALL E IL SUO MONDO
Nella controversa vicenda dell'arte contemporanea (ed nell'ancora più malagevole rapporto fra le tendenze innovatrici ed il gusto del pubblico) uno fra i rari personaggi a godere d'un apprezzamento indiscusso - maggiore, ad esempio, di quello rivolto a Picasso, più celebre ma, al tempo stesso, meno accettato - è Moshe Zacharovic Sagal (Vitebsk 1887 - Saint-Paul- de-Vence 1985), alias Marc Chagall.
Sfuggito - grazie alla lunga residenza in Francia e, durante il secondo conflitto mondiale, negli Stati Uniti - alle limitazioni imposte dal regime sovietico (cui soggiacquero invece, fra gli altri, artisti come Malevic e Lissitzkij che con lui avevano condiviso nel periodo rivoluzionario l'esperienza dell'insegnamento nella Libera Scuola d'Arte di Vitebsk), la fama di Chagall è venuta diffondendosi nei paesi occidentali, passando dalla notorietà ristretta dei circoli parigini e berlinesi d'avanguardia degli anni '10 alle grandi platee internazionali, come il Museum of Modern Art di New York, lo Stedelijk Museum di Amsterdam, la Tate Gallery di Londra, che fra il 1946 ed il 1947 gli dedicano ampie retrospettive, valendosi dell'eco di grandi commissioni pubbliche (le decorazioni per l'Opera di Parigi (1962) ed il Metropolitan di New York (1965)) sino alla creazione a Nizza (1973) di una sede museale stabile per i grandi dipinti di soggetto biblico realizzati fra il 1955 ed il 1966.
Un nuovo impulso alla conoscenza di questo autore, pur ampiamente studiato e divulgato, è venuto in questi ultimi anni dall'apertura delle frontiere con la Russia. Grazie alla liberalizzazione del regime è stato possibile vedere (alla Fondazione Gianadda di Martigny) i grandi pannelli realizzati per il Teatro Ebraico di Mosca (1920-21) ed a Firenze, nel Palazzo Medici Riccardi, altre opere realizzate in Russia nel periodo 1908-1922 (peraltro intervallato dal primo soggiorno a Parigi negli anni 1910-14) mentre a Milano, alla Fondazione Mazzotta, è in corso dall'estate un'ampia antologica a lui dedicata.
Una ulteriore, felice opportunità di entrare in contatto con il suo universo visionario, ove il quotidiano trasmuta pianamente nel fiabesco e le figure tratteggiate con naiveté popolaresca s'accendono di colori innaturali, ci viene oggi offerta dalla mostra "Chagall e il suo mondo, tra Vitebsk e Parigi", appena inaugurata a Palazzo Ducale.
Contornata da opere di artisti russi d'origine ebraica, come il famoso scenografo Leon Bakst o Natan Alt'man - che contese con successo a Chagall taluni allestimenti teatrali - vi figura una sequenza di opere magistrali: da una Veduta dalla finestra a Vitebsk (1908) le cui tonalità verdi appaiono intaccate appena dal bianco dei fiori in primo piano e, in lontananza, da un tenue arcobaleno ad un bozzetto per Sopra Vitebsk (1914) ove compare la celebre immagine del rabbino itinerante librata in volo accanto alla cattedrale del luogo; dalla dolente figura di Mio padre (1914) ad un trasfigurato Autoritratto dipinto nello stesso anno. E ancora tra i quadri esposti ci s'imbatte ne L'ebreo in rosa (1914-15), raffigurazione d'un anziano israelita che sembra citare, con icastica efficacia, un modello rembrandtiano; il metafisico dipinto de Lo specchio, nel quale si dispiega un singolare contrasto fra l'innaturale grandezza degli oggetti e la minuscola figura femminile che riposa appoggiata al tavolo.
Più coinvolti nel linguaggio cubofuturista, anche se non meno rispondenti al linguaggio "risolutamente magico" che André Breton scorgeva espresso nell'opera di Chagall, La passeggiata (1917-18), una sorta di dejuner sur l'herbe in cui compare lo stesso pittore che tiene per mano, sullo sfondo della città, la moglie, Bella, fluttuante nell'aria, e L'apparizione (1917-18), resoconto d'un sogno svolto sulla traccia iconografica dell'Annunciazione. Qui un angelo scende con un bagliore azzurro nella stanza grigia dove il pittore è seduto al cavalletto, a suggellare una vocazione artistica ormai compiuta; ad esprimere nella figura alata la capacità di spiccare dal terreno del vissuto e della memoria il volo della fantasia.
Chagall, scriveva Blaise Cendrars in uno dei suoi Dix-neuf poèmes elastiques (1913), "prende una chiesa e dipinge con una chiesa / prende una vacca e dipinge con una vacca / con una sardina / con teste, mani, coltelli / dipinge con un nerbo di bue / dipinge con tutte le sporche passioni di una cittadina di ebrei" ma dalla realtà della remota provincia russa la sua vista si eleva a spaziare "su sconfinate, mistiche immensità" (Efros).
s.r. (1995)