GIUSEPPE CHIARI
Sin dai primi anni '60 Chiari procede attraverso il campo (delimitato, agli estremi opposti, dalla ripetizione
codificatrice e dalla variabilità vitale) di ciò che, convenzionalmente, viene denominata "arte", non
ispirandosi ad una costruzione teorica - sia pur laterale e deviata - bensì mosso dall'urgenza di saggiare
ipotesi (gesti ed eventi) di volta in volta diverse, imperfette, giustificate soltanto da sé stesse, di cui
esperisce, più che una verifica, un'esemplificazione, portando a coincidere i momenti dell'ideazione e della
pratica, come accade - tipicamente - nelle scritture-slogan ("art is easy", "viva" ecc.).
Non è quindi la cifra stilistica né l'approdo sistematico ad interessarlo; è piuttosto l'indagine del
possibile (musicale ed iconico) perseguita nel reale, secondo un metodo che - contrariamente alle fattispecie
per il solito riscontrabili - ad un'articolazione complessa o meramente sofisticata preferisce, in sintonia
con il ribaltamento di prospettiva attuato da Fluxus, un'estremistica elementarità di notazione.
"La materia non è materia ma una folla di cose", scriveva Chiari in "Musica senza contrappunto" (1969). Così
pur con un tendenziale slittamento dal versante musicale e della performance a quello visivo (slittamento che
traspare dalla sequenza delle opere esposte in questa mostra allestita da Leonardi/V-idea da cui viene
restituito - per accenni - l'intero percorso dell'artista, da pezzi come "dripping sonoro",1962, o "studio
sulla radio", 1964, sino a "la macchia dilaga nello spazio", 1987), in lavori recentissimi come "pezzo di
carta piccolo per contenere un punto" ciò che è significato non è la nozione di punto ma "quel" singolo
punto come entità fenomenica riconducibile ad un'esperienza percettivo-esistenziale e non alla sfera di
assolutezza del concetto.
Analogamente si può dire di lavori come "2 linee" o "prima dello strappo" (entrambi del 1987), mentre in
altri di poco antecedenti, quali "8 linee" (1986), sembra prevalere un intento di catalogazione sovvertitrice
del tema affrontato (non a caso, infatti, la linea viebe duplicata, deformata in macchia e chiusa - infine
- in un cerchio) ed in altri ancora ("Aritmetica colorata", anch'esso datato 1986) i segni blu-giallo-rosso-neri
a pennarello, disposti seguendo "l'idea di ciò che è il loro ordine adatto", affondano il rigore della
scansione matematica in una dimensione provvisoria e fungibile.
s.r. (1987)