Hozro: materiali sulle arti visive a Genova








 

 

LILIANA CONTEMORRA

 

Caratteristica del ‘900 è stata, anche nell’arte, la continua contrapposizione di tendenze, l’idea di una dialettica interminabile, tesa a superare gli apporti antecedenti. Già, a suo modo, questo procedere per continue negazioni e reali o pretesi superamenti poteva essere considerato un espediente, una sorta di scapegoating: trovare un pretesto contro il quale battersi per ricomporre e dare senso al proprio agire. Oggi però l’esigenza rimbaldiana d’ “essere assolutamente moderni” sembra aver bruciato ogni spazio di elaborazione critica, mentre – secondo quanto afferma Gillo Dorfles – “la straordinaria ampiezza dell'informazione, proprio per la sua inesorabile continuità, finisce per amputare quell'intervallo temporale di cui l'individuo abbisogna”. Entriamo così non tanto nella temperie post-moderna, dipinta come territorio della leggerezza e delle pratiche combinatorie, quanto nella “modernità liquida” indagata da Zygmunt Bauman, dove la flessibilità fa premio sulla competenza e prende campo un mercato di legittimazioni che compensa il venir meno di un’autorità condivisa.

Da questo sbandamento ormai palese - che nell’ambito artistico vede mescolarsi, in una sorta di terrain vague, duchampismi di terza e quarta mano, rivisitazioni epigonali della pop-art e della performance - nasce l’esigenza di confrontarsi con le sperimentazioni svolte durante la seconda metà del secolo appena concluso non per ricavarne emblemi di resistenza al corso attuale delle cose ma per mettere a fuoco gli elementi che prefigurano possibili sviluppi.

In quest’ottica le esperienze dell’arte concreta e programmata continuano, lontano dai riflettori, a porsi come laboratorio dell’ high touch, di quell’investimento o “tocco umano” che John Naisbitt affermava essere presupposto di un accesso realmente fruttuoso all’ high tech.

Così Liliana Contemorra, senza rinunciare alla coerenza della propria ricerca, continua a saggiare le molteplici possibilità di un linguaggio strutturato che si rivela, essenzialmente, linguaggio della struttura.

Nello spirito che animava la “Composizione per metri cubi 176”, allestita alla Polena nel 1971 ed evocata dall’immagine riprodotta nell’invito a questa esposizione, (opera che, va rammentato, uno studioso di rango come Corrado Maltese ha riconosciuto rappresentare “una tappa veramente importante della dialettica delle forme artistiche contemporanee”) l’artista ricerca una continuità spaziale, definita da segmenti, per lo più divergenti ed obliqui, che non paiono esaurirsi nella loro estensione materiale ma agiscono come forze vettoriali, superando il limite del singolo pannello per dilatarsi sulle pareti circostanti.

Non a caso in taluni lavori questa tensione espansiva, (bilanciata da figure circolari, portatrici di stabilità e compiutezza) arriva a coinvolgere più riquadri disposti in sequenza mentre in altre opere gli andamenti dei tratti lineari vengono isolati ed applicati direttamente al muro che ne diviene, ad un tempo, lo sfondo ed il campo d’azione.

Nei “blu” e nei “rossi” su metallo, installati nelle due sale della galleria Leonardi, si avverte come la virtuale proiezione di ciascuno nell’ambiente non sia semplicemente potenziale ma s’inscriva totalmente in una dimensione reale, pertinente sempre alla “proposta di spazio, organizzato in modo plastico-visivo, possibile a misura d’uomo” che sostanzia l’ “operazione aperta” intrapresa dall’artista.

 

s.r.  (maggio 2002)

 

  

 





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