BRUNO DAL BON
Conosciuta, prima del trasferimento in Vico del Fieno, come San Marco dei Giustiniani, denominazione nota anche al di là dei confini nazionali per l'attività editoriale che ad essa è legata, la Galleria Devoto associa per consuetudine ad una prassi espositiva incentrata su "classici" (maggiori o minori) del nostro secolo, con non rari sconfinamenti nella grafica e nella scultura, la presentazione di giovani artisti di riconosciuto valore come Giorgio Bafico ed Enzo Carioti e l'esplorazione di un versante paesaggistico in cui affiorano 10sovente esiti di singolare maturità e penetrazione poetica.
È questo il caso di Bruno Dal Bon, autore che - attraverso un trentennio di esercizio pittorico - è venuto affinando quella "curiosità di sensi e d'intelletto" che, nota in catalogo Germano Beringheli, "nutre la forma di sapere sensibile".
Alla lettura di questo lavoro come connesso ad un ambito di tradizione figurale ligustica, Beringheli contrappone un'interpretazione che vi coglie un'"esperienza in qualche modo polarizzata dall'informale... localizzata semmai nel vedutismo intimo di un Bozzano o nell'itinerario materico, fortemente interiorizzato, di un Fasce".
Se tale ultima ipotesi, pur seducente, non pare trovar pieno riscontro nel dettato dell'opera (in specie per ciò che attiene ad un asserito spessore di materia), senz'altro fondata è l'intuizione del trascorrere, che vi si attua, da uno schema rappresentativo ad uno epifanico, ove la sembianza fenomenica veicola l'interezza dei significati, ove nel controllato e vago gioco tonale, nei profili dei muri e nell'ombra delle foglie, nel sollevarsi scomposto dell'erba su un pendio innevato, la pittura giunge a farsi "luogo dell'animo".
s.r. (1988)