Hozro: mostre a Genova





Liliana Porter, Minnie, 1995



EN LAS FRONTERAS

Va considerata con cautela l’idea che solo nei decenni più recenti la produzione artistica degli autori latinoamericani abbia acquisito piena cittadinanza sulla scena internazionale. Anche senza risalire all’epoca dei “muralisti” messicani (Rivera, Orozco, Siqueiros, affermatisi negli anni ’30) o far riferimento all’opera di coloro che hanno avuto parte nella ventura delle avanguardie storiche - come il futurista argentino Emilio Pettoruti i surrealisti Wilfredo Lam (cubano) e Roberto Matta (cileno) o l’uruguayano Joaquin Torres Garcia, promotore dell’“Universalismo Costruttivo” - si deve riconoscere che fra gli anni ’60 e ’70 nelle file delle tendenze di punta si contano numerose personalità di origine sudamericana: dal venezuelano Jesus Rafael Soto all’argentino Julio Le Parc, esponenti della ricerca ottico-cinetica, ai brasiliani Lygia Clark ed Helio Oiticica, il cui lavoro sulla relazione fra oggetto, corpo e azione sociale è stato definito dal critico Mario Pedrosa come un “esercizio sperimentale della libertà”.
Sebbene, quindi, non costituisca una completa novità è però indubbio che, grazie alla recente accelerazione del processo di globalizzazione ed all’ampliamento delle reti comunicative, quelle aree che nella platea artistica venivano considerate, a torto, come periferiche abbiano acquisito un peso crescente, segnato – a finaco del perentorio emergere della giovane arte cinese e del lento affiorare dell’universo africano – dall’avvento di una nuova generazione di autori latinoamericani, di cui viene proposto un significativo panorama nella mostra “En las fronteras”, allestita al Museo di Villa Croce dal MEIAC, Museo Estremeño e Iberoamericano de Arte Contemporaneo di Badajoz, in collaborazione con l’Istituto Cervantes di Milano.
Comune agli artisti in rassegna è, secondo Antonio Franco Dominguez, direttore del MEIAC, l’affrancamento dagli “stereotipi che a lungo hanno costretto il latinoamericano entro le etichette dell’indigenismo e dell’esotismo” per collocarsi invece al di là le frontiere, “in una dimensione transterritoriale e in un immaginario più ampio e interessante che riconosce la propria diversità antropologica, la sua capacità di ibridazione, il suo enorme potenziale di crescita e la sua robusta universalità”.
Un esempio nitido di questo orientamento si manifesta nell’installazione “Terra non descoperta” (1991) di Alfredo Jaar, ove l’artista cileno propone, avvalendosi di una serie di pannelli retroilluminati, l’accostamento tra immagini di torture del passato (in una sequenza di particolari tratti da stampe settecentesche ingrandite) e inquadrature fotografiche dello sfruttamento attuale, riflesse in specchi dalle cornici dorate. Il confronto con il passato, fra memoria e sparizione, viene ripreso nell’installazione video del colombiano Oscar Munoz, dove su cinque monitor scorrono le riprese di una mano che dipinge con l’acqua ritratti di volti su una pietra esposta al sole. Santiago Sierra – formatosi in Spagna ma da tempo residente in Messico - affronta, nella performance “8 persone pagate per stare dentro scatole di cartone” (2001), documentata fotograficamente, una riflessione critica sul valore del tempo e il potere del denaro, mentre il brasiliano Miguel Rio Branco tocca in “Dog Man, Man Dog” (1979), accostando le immagini di un cane sofferente e di un vagabondo steso sul selciato, un forte accento di rivolta morale.
Marta Perez Bravo si ritrae in “Cultos Paralelos” (1994) come offerta votiva, all’interno di un percorso che vuole indagare le componenti storiche e religiose della cultura afro-cubana. Nel video “Destierro” (1998-99), Tania Bruguera recupera anch’essa un rituale di ascendenza africana, vestendosi di fango e chiodi - in un costume che ricorda Nkisi-Nkonde, divinità tribale del Congo che punisce la violazione degli accordi - e muovendo in processione nelle strade de L’Avana alla ricerca dei colpevoli. La costaricana Priscilla Monge in “Leccion n. 1 de maquillaje” (1998), esplora con toni apparentemente leggeri il tema della condizione femminile, al confine instabile fra seduzione e violenza, riprendendosi in una seduta di trucco che si chiude sull’immagine di un occhio contornato da un alone bluastro che simula un livido.
Nelle sale del Museo ci s’imbatte in molti altri nomi di primo piano: Gabriel Orozco, Guillermo Kuitca, Ray Smith, Eduardo Kac, fra gli altri. E si varcano ripetutamente le frontiere fra la pittura e la fotografia, fra l’installazione e l’arte digitale, in un percorso in piena evoluzione, impegnato e creativo, di cui il video di Teresa Serrano, “Il pascolo del vicino è sempre più verde” (1997), attraverso il sovrapporsi delle immagini di persone migranti dai luoghi d’origine al volo di stormi di farfalle in viaggio fra Messico e Canada rappresenta un’originale e conclusiva metafora.

s.r. (2006)





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