GIOVANE ARTE GENOVA ANNI '80 - ESERCIZI D'IMPAZIENZA

Hozro: materiali sulle arti visive a Genova





ESERCIZI D'IMPAZIENZA

In un racconto di J.D. Salinger, un personaggio (un profetico ragazzino dodicenne) avanza l'ipotesi che nella mela addentata dai nostri progenitori nell'Eden fosse, in effetti, contenuta la logica. Che dovremmo vomitare, per poter accedere nuovamente ad un senso più autentico del reale. Se questo è vero, ciò che rimane possibile non è più che descrivere i contorni di un modo (di taluni modi) d'agire.

Le cose, quanto ci sta attorno, finiscono per rovesciarsi dentro di noi, per riempirci. Detriti di un loft in disfacimento, angoli imprevisti, riflessi. Nel cervello s'intersecano vie, scale, voci. Gli orecchi intonano rumori (dagli occhi s'irradiano immagini). La percezione si scinde, si frammenta nella vita. Le idee si sommano, liquide. Si fa esercizio d'impazienza.

C'entra, poi, questo? Credo di sì. E' dalla vita che trae alimento la pittura. e farsi pittura, per converso, potrebbe supporsi il fine ultimo delle cose. L'avvio di questo moto pendolare, di questo scambio ininterrotto di posizioni (che si realizza sempre fra accidentalità e determinazione) richiede un impulso, uno scarto. Richiede che l'immobilità diventi intollerabile.

L'instabilità che ne discende non ha tuttavia nulla di precario, nulla a spartire con un difetto di equilibrio; coincide, piuttosto, con il movimento, con la sua stessa accelerazione. E' dal riconoscimento di una tale disposizione convulsa (tutt'altro che disincantata o cinica, come vorrebbero gli ideologues del postmoderno) che prende origine questo ciclo di mostre in cui non ci si vuol soffermare, come nel precedente ("L'immaginazione senza fili", 1985/86) su un radicale divergere di opzioni bensì su un ambito più ristretto e, per certi aspetti, omogeneo, ove l'esperienza artistica si sostanzia di quell'enthousiasmòs del quale oggi si torna a parlare.

L'arte non pone domande ma pretende risposte. Fra le tendenze contemporanee molte prospettano soluzioni prive di azzardo e quindi oziose, anche se quasi sempre misurate e gradevoli. Qui, al contrario, la replica non consiste in una formula ma in un percorso, appena designato. Dove ad ogni passo si rischia di smarrirsi. Dove, senza perdersi, non si giunge in alcun luogo.

La sfida che questi artisti sostengono non si colloca, quindi (epigonalmente), all'interno del sistema codificato di uno stile ma piuttosto nel dare forma ad un insieme di esperienze; nel restituire una sorta di "emblema valido del mondo", una "verità che non assomiglia alle cose".

Ciò, è ovvio, non avviene in uno scenario avulso da mediazioni intrinseche (Pittura che sprofonda nella pittura. Che affiora, dalla pittura. Che s'annoda alle correnti espressionistiche del Nord e della Mitteleuropa - ma non solo a quelle. Antagonisticamente, non come pura trascrizione ma come ri/scrittura, o secondo un'espressione di Maurice Merleau-Ponty, non in termini di "sopravvivenza che è la formula ipocrita dell'oblio, ma (con) l'efficacia della ripresa e della "ripetizione", che è la forma nobile della memoria"). Né da altre, invece esteriori (Pittura impastata di frasi, di ritmi musicali, d'interferenze. Che ne implica l'accompagnamento sonoro. Che trattiene, occultate sotto la superficie, le suggestioni dell'immagine elettronica).

Le modalità di figurazione di cui usa ciascuno degli artisti presenti in rassegna sono comunque affatto peculiari, talora antitetiche le une alle altre.

Per Roberto Anfossi, l'accumulo sulla tela di un'intensa materia pittorica è condizione dell'approdo ad un'immagine fisica, carnale. Per Sonia Armaniaco il tema fondamentale sembra porsi nella costruzione dell'immagine, realizzata attraverso un montaggio desunto dalla pratica video, velato da un'atmosfera onirica esattamente definita dalla tecnica a pastello. Per Enrico Ravera il quadro, dilatandosi oltre la cornice ed includendo materiali eterogenei, diviene il luogo in cui occhio e pittura afferrano il mondo degli oggetti, compiendone - per dir così - l'olocausto. Stefania Rossi, infine, indirizza la sua ricerca lungo la direttrice di una visionarietà (resa in un gioco chiaroscurale manierato e profondo, attraverso colori caliginosi e fluorescenti) che fa perno sull'insorgenza di frammenti archetipici, sull'eguale incombere di presenza e di sparizione della figura.

s.r.





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