GIANNETTO FIESCHI IN UNA MONOGRAFIA DI ENRICO CRISPOLTI
Dai fasti del Siglo de los Genoveses a quelli dell'arte contemporanea: lunedì, per un giorno il Salone del Maggior Consiglio ha abbandonato la funzione espositiva riservatagli in questo scorcio di stagione per divenire sede dell'affollata presentazione, ad opera di Enrico Crispolti, Gian Paolo Boetti ed Umberto Silva, del volume che la Banca Carige e la Fondazione Cassa di Risparmio di Genova e Imperia hanno dedicato ad una delle figure maggiori della pittura novecentesca, il genovese Giannetto Fieschi, un evento che l'artista ha argutamente paragonato ad un'effimera occupazione della residenza dei Dogi, compiuta senza congiure e sommosse, armato solo di colori e pennello.
Pur nella sua eccezionalità, questo omaggio non costituisce comunque un fatto isolato. Nel censimento dell'arte che da lunghi anni la Banca Carige persegue attraverso i suoi libri strenna, ai riferimenti classici (ultima la raccolta di studi sulla pittura del Cinquecento in Liguria, a cura di Elena Parma, pubblicata anch'esso sul finire dello scorso anno) si è infatti accostato negli ultimi tempi un filone incentrato su sviluppi prossimi all'attualità e sull'opera di artisti viventi, di cui la monografia fieschiana realizzata dalla Arti Grafiche Amilcare Pizzi costituisce la manifestazione più recente.
Affidata ad uno studioso della statura di Enrico Crispolti, autore di numerosi contributi critici sul pittore genovese a partire dagli anni '60, l'impresa di ricostruire "la singolarità storica della personalità di Fieschi", come recita il sottotitolo del capitolo introduttivo, si dispiega attraverso numerose stazioni suddivise in due sequenze: la prima ordinata intorno alla formazione, compiuta negli anni successivi alla conclusione del secondo conflitto mondiale, ed alla poetica dell'autore; la seconda invece concernente i principali cicli pittorici, dalla Via Crucis ai grandi dipinti di ispirazione civile esposti alla Biennale veneziana del 1964, e dal Pericolo (1973/77) agli esiti maggiori dello scorso decennio, fra cui si annoverano le prove scultoree per il monumento a Santa Caterina Fieschi Adorno.
Tra le componenti della cultura figurativa di Fieschi, Crispolti segnala, riprendendo indicazioni originariamente formulate da Francesco Arcangeli e dall'artista stesso, l'incidenza "del secessionismo più drammatico e ambiguo, fra Vienna e Monaco", con riferimento a Schiele, più che a Klimt o Kokoschka, senza dimenticare "il Mirò surrealista creativo … immaginativamente topologico" e il modernismo pervaso da afflati mistici di Gaudì.
Nonostante la riconoscibilità di queste connessioni la personalità creativa di Fieschi si dispiega in "una navigazione orientata interamente in proprio" per approdare ad un "visionario originalissimo espressionismo esistenziale", nel quale non prevalgono aspetti di immediatezza gestuale (secondo l'artista "la soggettività vera non è momentanea") ma la considerazione della forma come strumento comunicativo articolato, atto a trasmettere "sotto la specie, insieme concettuale e tecnica del dipingere" un'esperienza cognitiva.
Secondo formule coniate dall'artista la sua poetica si determina in una "epistemologia perseguita per il tramite dello stile", ove la pittura "non è una grazia estetica, ma una moralità espressa in forma plastica".
Una simile impostazione si invera già nella sequenza della Via Crucis, realizzato a Parigi fra il 1951 ed il 1953, ora al Museo Stauros di Arte Sacra Contemporanea a San Gabriele. Alla Via Crucis appunto viene riconosciuta nel volume un particolare rilievo. Se ne evidenzia la rarefatta tensione fra atmosfera simbolica e oggetti d'uso quotidiano, i sensitivi accostamenti di forme disposte quasi a galleggiare nello spazio del quadro o a segnarne la superficie con tratti filiformi, le colature che invadono forme geometrizzanti, grazie a cui vengono aggirate insieme la misura dell'astrazione classica, dell'informale e della rappresentazione realistica e l'artista giunge a far "intravedere anticipazioni di quelle mozioni di figurazione nuova" che prenderanno piede in Europa agli inizi degli anni '60.
Di questa corrente, alternativa alla declinazione ironica dell'arte Pop, pur tenendo fermo il proprio atteggiamento indipendente, critico verso l'"autoritarismo" delle avanguardie, Fieschi si conferma personalità centrale con i dipinti presentati alla Biennale del '64, in particolare con il grande lavoro (oltre quattro metri per cinque) intitolato Dall'alto del patibolo Antonio Lorenzo Lavoisier dimostra e proclama l'indistruttibilità della materia, sorta di "monumentale crocifissione laica" in cui la figura attinge, attraverso tratti dilatati e irrigiditi a un tempo, una valenza pressoché totemica.
L'esaurimento della vicenda storica della "Nuova Figurazione" alle soglie degli anni '70 non incide sulla forza propositiva dell'opera fieschiana che proprio in quel torno di tempo coglie, con il ciclo del Pericolo, uno dei suoi vertici, attualmente presso la Galleria Comunale d'Arte Contemporanea di San Gimignano. Crispolti vi si sofferma per rilevare "la densità iconico-narrativa avvincente" che - muovendo da una circostanza drammatica ma ordinaria, una coppia azzannata da un branco di cani - riesce a trasporla su un piano metafisico, ove l'incombere e l'esplodere dell'aggressione, scanditi da un "montaggio" incalzante, divengono emblemi della catastrofe umana. Una catastrofe che Fieschi, in talune fra le opere più recenti, rinviene nella dimensione corporale, afflitta in Gerontofilia e inanità (1990), dal disfacimento fisico progressivo, che mina, oltre alla sfera erotica, la stessa personalità dell'individuo, riducendolo ad una maschera sgretolata dal tempo. Esito estremo per i suoi tratti di lucidità assoluta, non mitigata, al quale va riconosciuta anche una dimensione di ulteriore rinnovamento formale: "un figurare di stesura larga, fluente, baroccheggiante nella sua espressionistica 'insolenza empatica'" che, nel suo espandersi, "sovrasta ogni impianto disegnativo".
s.r. (2000)