FLUXUS O DEL PRINCIPIO D'INDETERMINAZIONE
"Fluxus, il movimento artistico più radicale e sperimentale degli anni '60":
così Harry Ruhé intitolava, una decina di anni or sono, la sua fondamentale ricognizione
intorno alla vicenda di questo gruppo, di cui lo Studio Leonardi e l'Unimedia di Caterina Gualco, in
collaborazione con il Centre Culturel Franco-Italien Galliera, il Goethe Institut Genua e l'Istituto
di Storia dell'Arte dell'Università di Genova hanno proposto un'ampia rassegna, la prima in Italia
da molti anni, imperniata su mostre, performances ed incontri di studio.
L'antecedente più definito di Fluxus è rintracciabile nella ricerca musicale "aleatoria"
di John Cage, dalle esperienze musicali condotte nel 1938 sul piano, "preparato" con l'inserimento di
piccoli oggetti tra le corde, a "4'33", il brano silenzioso eseguito per las prima volta da David Tudor
a Woodstock nel luglio 1952, all'evento multimediale realizzato nello stesso anno al Black Mountain College.
Altro precedente significativo va considerata il "combine-painting" praticato da Robert Rauschenberg.
Ma la storia "ufficiale" di Fluxus inizia nel 1961, quando il termine viene utilizzato per la prima volta
da George Maciunas nell'invito per il ciclo di letture "Musica Antiqua et Nova" tenuto all AG Gallery di
New York, i cui proventi dvevano finanziare una rivista cos' denominata.
E' sempre Maciunas ad organizzare - in quello stesso anno, ancora nel suo spazio newyorkese - una serie
di performances di Maxfield, Ichiyanagi, Vanderbeek, Higgins, La Monte Young, Yoko Ono, Walter De Maria,
tutti (o quasi tutti) frequentatori dei corsi che Cage aveva tenuto nei tardi anni '50 presso la New School
of Social Research.
Altro evento importante, in questa prima fase, risulta la preparazione del volume "An Anthology", curato da
La Monte Young e Jackson Mac Low e disegnato da Maciunas ("un'antologia di operazioni casuali, concept-art,
anti-arte, indeterminazione, improvvisazione, lavoro non significante, disastri naturali, piani d'azione...")
da cui risulta una sorta di "manifesto" frammentato della disposizione artistica del collettivo ed
un'esemplificazione concreta delle sperimentazioni dei singoli, tra i quali figurano - oltre alla maggior parte
di quanti già menzionati, personaggi come George Brecht, Henry Flynt, Ray Johnson, Nam June Paik, Emmett
Williams.
La pubblicazione di "An Anthology" fu ritardata sino al 1963 dal viaggio frattanto intrapreso da Maciunas in
Europa dove, nel 1962, inizia l'attività vera e propria del gruppo Fluxuz con i festivals di Copenhagen,
Parigi (seguiti l'anno successivo da altri a Düsseldorf, Amsterdam, L'Aja, Nizza) e gli incontri di
artisti europei come Vostell, Beuys, Spoerri e Ben Vautier.
Riferire dell'operatività esplicata sotto la sigla Fluxus a partire da quegli anni (attraverso concerti,
eventi di vario genere - fra cui "paper events", "food events", "sport events" - films, rivistecome la celebre
"CCC v Tre" di George Brecht, contestazioni - di cui fu oggetto, su iniziativa di Henry Flynt, Karlheinz
Stockhausen, considerato esponente di una forma di imperialismo culturale - edizioni di oggetti note come
"Fluxyearboxes" e "Fluxkits") sarebbe certamente troppo complesso.
Vale la pena di soffermarsi, piuttosto, su alcuni caratteri intrinseci alle sue pratiche:
- il principio d'indeterminazione, anzitutto, da cui trae il titolo la manifestazione in argomento, da
intendersi non tanto nella versione heisenberghiana, legata alla meccanica quantistica e comportante una
visione probabilistica della causalità, evocata da Enrico Pedrini nel saggio pubblicato in catalogo,
quanto nell'accostamento proposto da bachelard alla "psicologia del molteplice", in grado di cogliere il
valore dell'accidentale, della varietà e del disordine che si presentano nella vita;
- l'elementarità dell'evento, che porta all'estremo (e qui di nuovo emerge l'influenza di Cage,
profondamente segnato dal Buddhismo Zen) il concetto di "wabi", valorizzazione estetica della povertà
di mezzi, ponendo in essere azioni quali, ad esempio, l'accensione e lo spegnimento di una lampadina;
- la spersonalizzazione dell'arte, che nel decretare l'esaurimento della sua configurazione mitico-
individualistica, spogliandola di ogni aura, la reintroduce nel quotidiano e le conferisce un'agibilità
di massa;
- l'intermedialità propensione all'impiego ed alla commistione di tecniche espressive diverse,
derivata dalla dissoluzione degli schemi della parcellizzazione paleo-industriale nella continuità e
nella globalità introdotte dall'avento dei media elettronici, anch'essi precocemente assunti
nell'operare degli esponenti di Fluxus (in specie da Nam June Paik).
In questa modalità a-sistematica, che rigenera l'arte non attraverso una negazione eroica (come nel
caso di Dada) ma avvalendosi delle pratiche "deboli" del gioco, della humour, dell'azzardo; che non riscatta
l'oggetto d'uso immettendolo nell'ambito artistico ma traspone piuttosto quest'ultimo al livello del banale
e della produzione di serie, si coglie - insieme alla "sparizione dell'avanguardia" come progetto forte,
totalizzante, riscontrata da Carlo Romano in catalogo - il primo manifestarsi del paradigma del postmoderno
(che, a sua volta, è tutt'altra cosa del pot pourri iperdecorativo propinatoci in anni recenti.
Non a caso asserzioni Fluxus come "l'arte è facile" e "tutto è arte" corrispondono alla tesi
lyotardiana secondo cui l'opera d'arte "può essere letta in qualsiasi modo" né è mera
coincidenza che Ihab Hassan abbia definito l'epoca postmoderna come età dell'indetermanenza
(indeterminazione + immanenza), riassumendone le componenti in un elenco che fra l'altro contempla gioco/caso/
anarchia/silenzio/processo/decostruzione/paratassi/combinazione/ironia.
Nelle sale dello Studio Leonardi sono stati raccolti lavori "classici" di Cage ("Not Wanting To Say Anything
About Marcel", 1969, dedicato a Duchamp), di Giuseppe Chiari ("Gesti sul piano di G.C. e Frederic Rzewski",
1962), di George Brecht ("Climatisé en traversant", 1972), di Ben Vautier ("la signature manque", 1973),
di Dick Higgins ("Man Heart's Mirror", 1977/87); all'Unimedia Caterina Gualco esponeva invece "Cathod's Garden"
di Nam June Paik, vari strumenti automatici di Joe Jones, "Personaggi noci" di Bob Watts, da poco scomparso,
una "Depressione endogena" di Wolf Vostell, "Destroyed Music" (un disco rotto) di Milan Knizak ed un cestino
con "Pezzi di realtà" di Philip Corner.
In concomitanza con l'inaugurazione (12/10/1988) si è tenuta alUnimedia una performance di Ben Vautier
(una sorta di dimostrazione di concerti ed eventi Fluxus "storici"); il 29/10, allo Studio Leonardi si è
svolta un'azione di Takako Saito (un dialogo con una pentola di riso che sobbolle, contrappuntato dalla
fabbricazione e dal lancio di piccoli cubi di carta bianca); ancora il 22/11 Philip Corner all'Unimedia
ha dato vita ad un concerto basato sul rumore prodotto dalla masticazione di carote e quindi ha suonato
gong e campane; in chiusura, il 25/11, lo Studio Leonardi ha ospitato "Berlin Luxus", un lavoro "in spirito
Fluxus" di Michael Busch, Frank Hentscher e Hans Werner Kroesinger, in collaborazione con Attilio Caffarena.
Il 10 novembre si è tenuto presso l'Istituto di Storia dell'Arte dell'Università di Genova un
incontro di studio introdotto da Franco Sborgi, con l'intervento di Gino Di Maggio nonché di Enrico
Pedrini, Sandro Ricaldone, Carlo Romano, autori, con Lara Vinca Masini, Marie-Thérèse Michaud,
Josef Gerighausen, degli interventi riportati nel catalogo pubblicato nell'occasione.