LIA FOGGETTI: CHANCE IMAGE
Deprecata in quasi ogni altro ambito, l'estrema rapidità esecutiva trova in pittura (da quando almeno l'ideologia della libera visione ha sopraffatto gli schemi rappresentativi in precedenza invalsi) una fortuna che non accenna ad estinguersi. Garanzia non d'esito qualitativamente elevato ma di elusione delle barriere e dei controlli concettuali e, perciò, d'una spontaneità assurta a valore, l'istantaneità della notazione è stata eletta a metodo a più riprese e sotto i nomi pi diversi, dall'automatismo surrealista al gestualismo dell'action painting.
Ed analizzando la traccia che labilmente (e non senza preterintenzionale del soggetto in Monet, il blow-up biomorfico di Kandinsky al puro grafismo deviazioni) connette l'informe coltivato nelle unmeaning shapes di Alexander Cozens allo sfaldarsi di Tobey si può avvertire come si sia trattato d'un campo assai fertile, anche se tutt'altro che omogeneo, e tuttora lontano da un definitivo esaurimento.
Né mancano, al presente, frequentazioni che - sia pur condotte su linee strettamente personali, al di là dei recenti asfittici revivals del genere - sappiano attingere autenticità sufficiente ad evitare il calco passivo ed usurato di un modello "alto" e, al tempo stesso, irripetibile.
È il caso delle immagini atmosferiche (esempi d'una sorta di "ultimo naturalismo" che sembra prescindere dalla materia terrestre e dal rigoglio della vegetazione per affidarsi soltanto ad elementi aerei e liquidi) riunite da Lia Foggetti in sequenze composte d'inquadrature contigue e leggermente sfalsate, che scandiscono, delimitandolo, uno spazio che si suppone privo di confini e misura.
Dal compenetrarsi di macchie colorate, freneticamente sovrapposte le une alle altre (sovente frammischiando materiali diversi, non precisamente canonici) alla ricerca d'un'immagine fortunosa, paradossalmente si sviluppano configurazioni solo talvolta concitate o percorse da andamenti esplosivi.
Per il solito l'accelerazione emozionale s'acquieta in una dimensione armonica, ove i toni cromatici casualmente evocati non si respingono e tendono anzi a sfumarsi reciprocamente, evocando con discrezione l'impetuosità della corrente od il bizzarro addensarsi della nube, in un palesarsi improvviso di quella cloudiness che Ruskin diceva essere il tratto principale d'un panorama e che oggi al panorama sopravvive.
s.r. (1990)