Hozro: materiali sulle arti visive a Genova





DALLO SCIROCCO AL FÖHN

Genova e Monaco di Baviera, evocate nel titolo dai venti caldi che ne caratterizzano le vicende climatiche, si confrontano sul piano artistico in una mostra allestita presso il Museo di Villa Croce, alla cui realizzazione hanno contribuito – oltre all’Aktionsforum Praterinsel che l’ospiterà a partire dal gennaio prossimo – il Goethe Institut, la Fondazione regionale Colombo e l’Università di Genova.
Al di là del riferimento geografico, il titolo della rassegna (“Dallo scirocco al föhn”) rinvia ad una situazione di turbolenza, di libero sommovimento aereo, analogo allo spirito che traspare dalle ricerche degli artisti, cinque genovesi e cinque monacensi, riuniti per l’occasione attorno al tema rappresentato dalla collezione del Museo.
Un tema in qualche modo “accademico”, vincolato alla relazione con un’opera scelta per affinità od opposizione nei depositi museali, che i singoli autori hanno saputo interpretare con freschezza inventiva e con una gamma di atteggiamenti diversificati, conferendo all’esposizione, nel suo insieme, tratti di scompigliata leggerezza alternati a penetranti sollecitazioni simboliche.
Queste ultime ci vengono soprattutto da Mauro Ghiglione che, rapportandosi alla “Macchina drogata” (1969), lavoro concettuale di Vincenzo Agnetti, ci propone una “macchina ossigenata”, un tavolo retto da sostegni metallici che richiamano il profilo di una slitta, sul cui piano è riprodotta l’opera di raffronto, sormontata da due bombole di ossigeno pericolosamente inclinate: “un congegno ad alta valenza simbolica – scrive Sandra Solimano, curatrice con Erno Vroonen della mostra – che visualizza l’equilibrio precario ma bloccato di un sistema in crisi, con la residuale speranza di ossigenare e rivitalizzare lo spazio asfittico della creatività”. Un approccio basato sull’ambiguità fra l’assoluto realismo dell’immagine fotografica e l’artificialità della scena riprodotta viene impiegato invece da Francesco Arena nel confrontarsi con “Il combattimento fra cuore e cervello” (1993) di Claudio Costa. Cuori circondati da bracciali chiodati o da collane di perle, cervelli rinserrati nel filo spinato costituiscono il nucleo tagliente di sequenze calate in gradevoli atmosfere di matrice pubblicitaria. Una sorta di mélo orrorifico in cui l’incombente fisicità degli organi raffigurati non lascia spazio alla rappresentazione del conflitto fra razionalità e passione sottesa al lavoro di Costa. Massimo Palazzi ricava da un dipinto degli anni ’70 di Paolo Ghilardi - composto da bande di vari colori disposte concentricamente - una serie di casse da imballaggio della misura di ogni riquadro, nell’intento di trasferire la dimensione auratica dal quadro al suo contenitore, oltrepassando così l’astrazione nel momento stesso in cui ne applica i principi cromatici e costruttivi. Simonetta Fadda dialoga nel video “Some says: Fluxus is the problem ...” (2002) con una scritta murale di Ben Vautier che riporta alcune fra le più ironiche definizioni di Fluxus. Più indiretto il discorso sviluppato da Flex a proposito dell’opera di Lucio Fontana, citata in due pannelli fotografici che ritraggono la stessa inquadratura di Villa Croce, in momenti diversi: la sera con tagli di luce che traspaiono dalle persiane chiuse; di giorno con la luce solare tagliata dal profilo del fabbricato.
Ancora a Fontana (all’ “Uovo nero orizzontale”, 1961) si richiama Dany Paal con un lavoro analitico nel quale si sofferma sull’impiego di segni elementari (linea, punto), del colore e sugli aspetti volumetrici. Alexander Timtshenko accosta ad un fotomontaggio d’impianto monumentale di Cesar Domela (“Les Musées de Berlin”, 1931) i suoi lavori fotografici che riprendono edifici newyorkesi e parigini. Tobias Wittenborn fa navigare i suoi oggetti-vascello sul mare delle opere della collezione rappresentate da minuscole riproduzioni fotografiche collocate sul pavimento, mentre Edgar Lorenz architetta un’installazione in cui le teste modellate da Savina Morra sono allineate ad assistere alla proiezione delle diapositive di suoi lavori pittorici. Stephanie Pelz, infine, coinvolge le sculture di Guido Galletti e di Guido Micheletti in una sorta di performance immobile strappandole al loro impianto classicista con l’imposizione di cuffie, toupets e parrucche e creando scorci che possono apparire come un giocoso contrappunto ai tableaux vivants di Vanessa Beecroft.

s.r. (2002)





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