Attilio Forgioli, "Giardino" (1991)
pastello su carta
FRUTTI, SETTEMBRE, MONTAGNA …
- accostamenti alla pittura di Attilio Forgioli -
Accesi e sedimentati nel colore, imbrigliati e
insieme debordanti da viluppi di scie tortuose, di lembi frastagliati sino a
sfiorare l’indistinguibilità, brani di paesaggio e contorni d’animali segnano
negli anni ‘60 l’affermazione vibrante della pittura di Attilio Forgioli. Una
pittura che, al di là della sembianza felice degli accordi cromatici di taluni
dipinti, mantiene un’intonazione tesa da cui traspare la volontà d’investigare
lo scorcio naturale, la figura, l’oggetto, in luogo di svolgerne l’elogio.
Coerentemente con la peculiare sensibilità verso i temi della violenza,
dell’alienazione urbana, messi a fuoco in prove antecedenti (il ciclo dei
“Rifiuti” esposto a Milano nel 1961; i pastelli de “La Senna”, ove nel 1962
ritraeva i corpi degli algerini gettati nel fiume dalla polizia francese),
Forgioli procede, in questa fase, verso una interrogazione del mondo che punta
a sintetizzarne espressivamente i nessi, stendendo sulla tela “i segni di uno
sgomento, di un’inquietudine che sono nell’aria, nelle cose, negli uomini, ma
che spesso restano invisibili, come i segni di una segreta usura dell’anima”
(De Micheli). Già questa consapevolezza – in un momento in cui la vicenda dell’arte
si trovava in un disagevole momento di trapasso – ne collocava la creazione
pittorica in un ambito originale, distinto per un verso da una configurazione
organica, se non da una vera e propria qualità metamorfica dell’immagine, e per
altro da un simbolismo latente, che si poneva al di là sia dell’immediatezza
solipsistica del gesto informel, sia
degli opposti schemi improntati ad un realismo enfatizzato. Poco oltre, nel
1965 - con le “Allegorie”, sorta di elicotteri-uccello ispirati dalla guerra
del Vietnam – la componente simbolica, affiorata in precedenza nella serie
degli “Animali nel paesaggio”, doveva trovare la sua più matura realizzazione.
Se in prove come queste l’artista sembra aver inteso forzare il visivo sino a
trarne il visionario, è però il legame con il mondo e la natura a mantenersi
con limpidezza dominante, al punto da consentirgli di sostenere (come Roberto
Tassi rilevava a proposito di un maestro a lui per più d’un verso affine,
Graham Sutherland) le sfide poste dalla “crisi di linguaggio, aperta da Picasso
e chiusa da nessuno”, all’interno di un contesto figurale, in una continua
rivisitazione di soggetti – frutti, stagioni, luoghi, scenari – che, attraverso
l’identità tematica e le realizzazioni multiformi pongono il rapporto tra “vedere”
e “pensare” sotto il segno della differenza, della rivelazione nel mutare delle
forme di una verità sempre nuova delle cose.
Così lo scambio tra realtà e memoria, tra emozione
e immaginazione, si condensa in frammenti isolati al centro del foglio o della
tela, non per riflettere un’ipotetica disarticolazione del reale ma per un
depositarsi istantaneo del sentire, sostanziato da intensità, luci, screziature
diverse.
Scoprire la durata nel momento, individuare lo
spazio con un tratto, cercare il mondo in un dettaglio, fissare la bellezza in
un tono di colore: è questo, probabilmente, il senso autentico della ricerca
che, dal 1970 ad oggi, l’artista ha condotto lavorando su una pluralità di
motivi. Lontana tanto dalla nostalgia di un dettato forte quanto dalla
seduzione, oggi così diffusa, della fragilità, si distende in una sequela di
affondi che – come egli stesso ha detto – “partendo da una cosa che ti viene
avanti” mirano a “sfogliarla dal suo riflesso immediato, fino a trovarci il
sostentamento essenziale”.
Nella personale allestita presso la Galleria
Rafanelli – la sua prima a Genova - Forgioli ha scelto di mostrare una serie di
olii e di pastelli realizzati nell'ultimo decennio, che trattano appunto questi
soggetti. L'immagine del "Residence", compare ripetutamente, sagomata
dai tratti rettilinei degli elementi architettonici, per esplodere -
all'interno – negli improvvisi fuochi di colore di una vegetazione domestica,
negli azzurri, nei verdi, nei rossi di piante che sfocano, nella stesura
allungata all’estremo sulla tela, la propria identità. Così pure si affollano
scorci di “Sicilia”, fra palme azzurre e scorci digradanti al mare, e
“Montagne” innalzate da campiture incongrue, dove il bruno arresta il viola, e
il blu s’innalza in un cielo assente o accennato appena. Accanto campeggiano
“Frutti” che stemperano la nitidezza cezanniana accostando riflessi discordanti
entro i contorni circolari; un “Paesaggio”, massa vegetale animata dal breve,
cangiante scorrere del pennello. La successione dei “Mesi”, aperta di sorpresa
su un’estate pienamente fiorita e spenta in trasparenze settembrine, schiude,
nei rapidi moti del pennello, un susseguirsi di stati d’animo capace
d’attingere una condizione quasi aerea, antitetica rispetto alla fisicità, pur
rattenuta, della materia. Mentre gli omaggi floreali di “Bassa Sassonia” (un
lavoro del ’98 dedicato alle vittime di un atto di violenza xenofoba perpetrato
durante un soggiorno in Germania dell’autore) riannodano i fili di una
partecipazione commossa alla peripezia umana, con gli stessi moventi e la
medesima densità degli esordi.
Sandro
Ricaldone
Aprile 2001