FUORI ARTISTA
Nelle concezioni che affermano od, almeno, suppongono il darsi nell'arte di una direzionalità evolutiva, i richiami alle dinamiche storico-sociali, alle innovazioni tecnologiche ed agli sviluppi scientifici, si sono intrecciati a lungo, facendo germinare l'idea che "il singolo fenomeno traesse la sua validità non tanto dal suo valore intrinseco quanto dalla sua collocazione in una catena" in cui, secondo un'osservazione svolta da Hans Tietze in un saggio del 1925, "ogni cosa appariva fluida e relativa, portato delle fasi precedenti, preparazione delle successive, non un tutto organico bensì un documento dell'evoluzione stilistica". Di ciò si faceva carico ad "una certa ipertrofia della storia dell'arte", ma - più ancora - allo storicismo di matrice hegeliana rimasto dominante sino a non molti or sono e che, in ambito artistico, ricordiamo ancora nello scorso decennio bersaglio delle tirate polemiche di Achille Bonito Oliva contro "il darwinismo delle avanguardie".
Nonostante l'opinione di Gombrich, secondo il quale "nell'odierna storiografia artistica si tende a sorvolare sull'idea di progresso", la crisi delle ideologie evidenziata dalla riflessione sul tema del postmoderno ed il radicale attacco alla stessa prospettiva storica contenuto ad esempio nelle tesi, non probanti ma sintomatiche, di Fukuyama, la questione di un finalismo intrinseco, o addirittura immanente, al divenire delle arti è tuttora attuale. Non solo nella variante moderata assunta, sulla scorta di indicazioni riprese da Goldmann e McLuhan, da Renato Barilli, basata sulla correlazione omologica tra gli strati materiale e simbolico della cultura e marcata da un sostanziale tecnomorfismo, da un'essenziale tensione di adeguamento delle arti ai nuovi standards tecnologici, ma in un'accezione "dura e pura", incentrata su una compiuta corrispondenza, un vero e proprio rispecchiamento, tra le elaborazioni della teoria fisica contemporanea e gli svolgimenti artistici coevi. Mentre nell'ottica barilliana all'ordine del giorno è la questione delle tecnologie virtuali che paiono rendere concretizzabile l'idea d'un'opera totale, già variamente perseguita sin da fine Ottocento, a testimoniare la seconda, più radicale, opzione è - fra l'altro - un conciso volume di Enrico Pedrini, "La freccia evolutiva dell'irreversibilità" (Ulisse & Calipso - Edizioni Mediterranee, Napoli/Roma 1992), nel quale vengono ricostruite - vis-à-vis, in un parallelismo ove la prevalenza è riservata sempre al primo termine - "le innovazioni nella scienza e le trasgressioni nell'arte" nel corso dell'ultimo secolo.
Posto sotto il segno dell'irreversibilità, che dall'ambito della termodinamica viene esteso - in un'estensione metaforica elevata a baluardo "contro tutti i ritorni in arte" - il percorso disegnato da Pedrini si snoda attraverso le tappe del "Fuori figurazione" ove la figura chiave è rappresentata da Cezanne, la cui "prospettiva molteplice" viene interpretata come un equivalente delle geometrie non euclidee di Lobacevskij e Riemann; del relativismo e dell'autoreferenzialità introdotte dalle avanguardie cubiste ed astratte in rispondenza alla teoria einsteiniana ed alla meccanica quantistica; dell'anomia della neoavanguardia degli anni '50/'70, che, postasi ormai "Fuori quadro", con Cage, Fluxus, l'Arte Povera "culturalizza e solennizza come arte frammenti, oggetti, tracce, elementi naturali, immagini fotografiche ecc.", adeguandosi al principio d'indeterminazione formulato da Heisenberg nel 1925. Dell'effettiva portata di quest'ultimo principio non è possibile dibattere in questa sede; al riguardo, tuttavia, va notato come la sostituzione, nell'ambito della microfisica, d'uno schema predittivo di certezza assoluta con un criterio di probabilità ("non una probabilità vaga e soggettiva, ma governata rigorosamente da un formalismo, da equazioni", puntualizza Jean-Marc Levy-Leblond, ricalcando il pensiero di Novalis secondo cui "persino il caso non è insondabile: esso ha la sua regolarità") non paia del tutto idonea a giustificare, da sola, l'aleatorietà emergente nelle arti da Duchamp in poi, cui non manca - d'altronde - una genealogia specificamente artistica, da Diderot a Lautréamont, a Valery, per il quale appunto il caso "realizza il possibile e non il probabile" (Kohler).
Al di là di notazioni di questo genere, tuttavia, la costruzione elaborata dall'autore mostra di travalicare decisamente il modello debole della sintonia, identificabile al presente nell'interesse sollevato dalla riflessione epistemologica a proposito della complessità, non discosto - in concreto - dalle suggestioni generiche seguite, nell'ultimo dopoguerra, da spaziali e nucleari (diverso potrebbe risultare il discorso per teorici come Michel Tapié, il cui riferimento all'insiemistica cantoriana risulta connaturato all'impianto concettuale dell'art autre, o di artisti quali Georges Mathieu che nelle ricerche di Heisenberg e Schrödinger, di Lupasco o di Mandelbrot sembra rinvenire effettive convergenze operative). Con buona pace di Quatremère de Quincy, autore nel 1833 del saggio "De la marche differente de l'esprit humain dans les sciences naturelles et les Beaux-Arts, ove le prime erano poste sotto l'insegna del progresso mentre obiettivo delle seconde rimaneva l'ideale classico di bellezza, lo schema proposto da Pedrini lega intrinsecamente l'evoluzione artistica al modello conoscitivo riscontrabile nella descrizione teorica dei sistemi dissipativi, per cui "le fluttuazioni, che si presentano come deviazioni spontanee rispetto a qualche regime medio possono generare piccole correnti di convenzione che ... se amplificate condurranno il sistema verso un nuovo regime di instabilità" e determinano quindi la transizione verso nuove forme di ordine che si realizzano "mediante l'arrivo di un flusso di materia o di energia dall'ambiente".
Il trapasso dal Fuori figurazione all'aleatorietà ed al Fuori quadro non sarebbe, quindi, un mero avvicendamento stilistico; nè fenomeni come la Transavanguardia possono reputarsi equivalenti, sia pur di altro segno, del Concettuale. Quel che si instaura è infatti "non un sistema di figure statiche, ma un "pattern" di forze concepito dinamicamente, un tema strutturale nuovo, dove ciascun elemento possiede una propria formalizzazione. (...) La conoscenza nell'arco degli anni si metaforizza attraverso accumuli di sapere in successione, il cui ordine non segue una rigida cronologia del tempo, bensì una processualità categoriale che si connota per un costante "avanzamento irreversibile". Tale processualità nella sua spinta in avanti conosce necessariamente marcati cicli di feed-back reatroattivo, momenti di sospensione evolutiva atti a creare per le condizioni per un successivo salto innovativo".
Esaurito il processo innovativo del Fuori quadro e la stasi neopittorica del trascorso decennio, il movimento in atto si volgerebbe all'oltrepassamento del linguaggio, aprendo "lo spazio della non-identità e della differenza". Caratteristici di questa fase incipiente i lavori di Max Neuhaus (a partire dalla struttura elettronica sonora, installata nel 1977 sotto un'isola pedonale di Times Square e non rivendicata per dieci anni), di Guillaume Bijl che nel 1988 esibisce opera e biografia di artisti inesistenti, di Filipppo Falaguasta, che si propone in una sorta d'offerta al pubblico per una serie di mansioni, artistiche e non. Se questi autori sembrano identificare una sorta di terrain vague ove, ribaltando (sino ad un certo segno) il procedimento duchampiano, il lavoro artistico appare ridotto ad evento comune, spurio o fungibile, è lo stesso Pedrini a spingersi oltre, ipotizzando l'assenza dell'artista, dell'opera e del mercato in una mostra allestita a Genova, presso lo Studio Leonardi, consistente nell'ostensione di alcuni testi di fisica di Einstein, Heisenberg, Prigogyne, Hawking, esposti "nella loro autenticità di contenitori di conoscenza". In questa operazione, che pure preserva i ruoli della galleria e del curatore, si coglie l'esigenza di un trapasso dalla poetica del "sentire individuale" ad un agire comunicativo o ad un "sapere" che "come struttura finale dell'irreversibilità dell'arte e della sua storia vuole porsi ... soprattutto come separazione fra ciò che è arte e ciò che è immagine".
Valida come provocazione, l'ipotesi del Fuori artista sembra meno fruibile come prassi. La soppressione d'ogni estremo sensoriale a vantaggio di contenuti teorici allotrii replica, aggravandola, l'impasse dell'arte concettuale. Resta, nella sua radicalità, non la mera contestazione del narcisismo creativo, dell'auraticità dell'opera, già ampiamente esplicata: bensì l'impianto d'uno spazio di mediazione fra i campi della conoscenza e della formatività; la prefigurazione d'un "potenziale vuoto" da attivare, di uno scarto categoriale suscettibile d'incrinare gli ordinamenti chiusi dell'arte.
s.r. (1993)