Non servirà l'intervento vandalico, provocatoriamente invocato, con riferimento a recenti fatti di cronaca, dall'assessore Pierantoni come estremo veicolo di promozione dei musei cittadini, per attirare l'interesse del pubblico sulle raccolte della Galleria d'Arte Moderna di Genova. Per tre mesi, infatti, una scelta di opere facenti parte delle collezioni custodite a Nervi, in Villa Serra, divenuta sede della Galleria nel 1928 e chiusa al pubblico ormai da un decennio, sarà sotto i riflettori a Palazzo Ducale, nell'Appartamento del Doge, dando corpo ad una esposizione in cui l'apporto ligure alle arti tra Otto e Novecento s'innesta senza scompensi nel panorama italiano, su uno sfondo ove il mecenatismo delle grandi famiglie viene gradualmente sostituito da forme di collezionismo diffuso e da una politica di acquisizioni via via più consapevole da parte degli enti pubblici.
Nel disporre il percorso della rassegna, la curatrice, Maria Flora Giubilei, si è discostata notevolmente dall'allestimento storico della Galleria di cui è conservatrice e, pur collocando in esordio una serie di opere legate alle vicende genovesi, sembra aver inteso porre l'accento in particolare sulla dimensione nazionale della raccolta.
Se, infatti, la mostra prende avvio da una sequenza di lavori strettamente connessi con l'immagine ottocentesca della città e le sue trasformazioni (il bozzetto di Francesco Semino per l'affresco della cupola della Consolazione; la tela di Thomas Lawrence che raffigura la demolizione della Chiesa di San Domenico sulla cui area sarebbe poi sorto il Carlo Felice) per procedere quindi con i curiosi trompe-l'oeil di Martin Piaggio, con diverse tele di piccolo formato di Nicolò Barabino ed un nutrito nucleo di gessi appartenenti alla gipsoteca di Giulio Monteverde (fra i quali, oltre alla celebre statua di Jenner ritratto nel vaccinare un bambino, vanno citate le terracotte di tema belliniano, estratte per l'occasione dai depositi), il cuore della mostra appare costituito dalle acquisizioni realizzate da Orlando Grosso durante il quarantennio in cui - fra il 1909 ed il 1949 - fu alla testa dell'Ufficio di Belle Arti del Comune di Genova.
A questa importante figura, che al ruolo di pubblico funzionario univa la vocazione alla pittura e l'impegno di storico dell'arte, va infatti il merito di aver impresso - nel quadro di un disegno di ristrutturazione complessiva del sistema museale cittadino - un più preciso indirizzo alla Galleria d'arte moderna, cresciuta in precedenza in modo discontinuo - a partire dal nucleo di quadri di paesaggio contenuto nella collezione del Principe Odone di Savoia, donata alla città nel 1866 - grazie ad acquisti effettuati dal Comune alle mostre della Promotrice di Belle Arti e, in seguito, anche direttamente da artisti e mercanti, con l'utilizzo delle rendite derivanti dalla donazione, avvenuta nel 1874, di Palazzo Rosso e delle sue dipendenze al Comune da parte della Duchessa di Galliera.
All'impulso di Grosso si debbono acquisti di opere singole come la piccola tela di Telemaco Signorini (il solo macchiaiolo presente nella G.A.M.) intitolata Fattoria nella campagna toscana, od il Paesaggio sulle rive della Senna, lavoro di composta bellezza realizzato da Charles Daubigny, ma anche di gruppi più consistenti di quadri e disegni di Ernesto Rayper e, soprattutto, di Rubaldo Merello, del quale furono acquistati nel 1926 presso la Galleria Pesaro di Milano, che li esponeva accanto a pezzi di Carrà e De Chirico, ben tredici dipinti, quattro dei quali occupano in mostra, con i loro scorci azzurri del promontorio di Portofino, una lunga parete.
Tra gli artisti attivi nella prima metà del nostro secolo, in una linea che privilegia espressioni di magico od arcaico lirismo rispetto a soluzioni più rudemente monumentalistiche alla Sironi, sono documentati con opere primo piano Casorati (autore di un Ritratto di fanciulla dai toni perlacei acquistato in Biennale), De Pisis, Donghi, Arturo Martini (con la grande figura in terracotta de La convalescente) e Ferruccio Ferrazzi, il cui Ritratto con Horitia, rappresenta uno degli esiti più alti dell'artista romano.
Completano il quadro dei riferimenti novecenteschi lavori di Marussig e Carena, e - per la scultura - l'Orfeo che canta di Libero Andreotti, mentre le vedute di Arturo Tosi e Raffaele De Grada aggiornano la componente paesaggistica delle collezioni, già arricchita per l'antecedente fase di trapasso fra i due secoli da opere del piemontese Lorenzo Delleani e di Pompeo Mariani.
Nell'ultima parte della mostra, accanto a pezzi recuperati nei depositi (fra i quali spicca la luminosa Scena famigliare, di Amighetto Amighetti) e presso varie sedi pubbliche (come l'inedita L'ora tranquilla, opera postdivisionista di Alberto Helios Gagliardo, e la sontuosa Cariatide tardo-liberty realizzata in bronzo da Edoardo De Albertis per la Mostra delle Arti Decorative allestita a Parigi nel 1925), sono le donazioni a tenere il campo. In primis quella appunto della vedova dello scultore genovese, con i gessi delle figure allegoriche per l'Arco della Vittoria, scenograficamente disposti fra due archi. Quindi la donazione di Elena Ferrero Rombo, con opere di Mafai, Pirandello, Cagli, Melli e Guttuso accostata ai quieti panorami dipinti da Teodoro Wolf Ferrari, provenienti dal lascito Dandolo Dolcetta. E, in ultimo, il fascinoso ritratto di Yvonne De Masi eseguito da Mattia Traverso, pervenuto alla Galleria soltanto nel 1998, scelto come immagine-simbolo della mostra, a testimonianza di un cammino che prosegue, pur fra molte difficoltà, e che dovrebbe trovare nel riallestimento di Villa Serra, dato per imminente, un decisivo passo in avanti.