GIANCARLO GELSOMINO
La direttrice lungo cui s'è mossa, in questi ultimi anni, la ricerca di Giancarlo Gelsomino sembra procedere dall'esercizio analitico sulle declinazioni stilistiche (di cui veniva tuttavia opportunamente sottolineata la funzione dissimulatoria) verso un sempre più diretto coinvolgimento dell'opera nelle tematiche e nelle realtà esistenziali.
Ad un tale spostamento si accompagna - sotto il profilo formale - il trapasso da un registro manierista (di secondo grado) ad un primitivismo dapprima obliquamente alluso nella scelta di supporti recuperati da oggetti di scarto e da ultimo inglobato invece nelle modalità figurative.
I lavori di Gelsomino appaiono sempre più chiaramente identificabili come schegge di ragionamento (non a caso la sua più recente personale recava il titolo "Riprendendo il discorso") velate di scie di lettere e numeri; come messe in cena di situazioni problematiche prive di svolgimento e catarsi, poste sotto il duplice segno dell'Hybris e della Melancholia: dello slancio violento - percorso da generosità e da ansia di superamento (quei "magri estri di rabbia", evocati da Frenaud, in cui si estrinsecano il "prolifico" e il "divorante" dell'essere) - a tracciare il proprio destino e, insieme, della consapevolezza dell'inappagabilità del desiderio.
O, ancora, come stazioni di un itinerario in cui si trascorre, secondo quanto scrive Jean Wahl, "dall'interiorità esteriore, quella del colore ad esempio, all'interiorità interiore del pensiero" sino ad interrogare "quell'interiorità più intima che ne costituisce l'origine".
s.r. (1987)
LE CORNICI DEI TRASFERIBILI: APPUNTI PER UN PERIPLO *
Dal registratore la voce di Giancarlo vagamente deformata, più rapida che in realtà non sia. Difficile concentrarsi, isolare le parole, connettere i suoni ai significati. A sprazzi riemerge vivida l'impressione di questo o quel quadro, la sequenza s'annoda, si frammenta si ricompone sempre in modo instabile, accompagnata dal rumore del mare che si balocca e complotta laggiù, o dal silenzio: tacito pieno di singhiozzi taciuti.
Equivoci di molta importanza. Avere vent'anni (o più, o meno, non importa) e credere alla potenza del pensiero. Soffrire stranamente di essere e di non essere. In disparte, le gambe incrociate, sul capo un fiore in un cilindro di cartone, rovesciare gli occhi altrui nei propri, alternare nelle pupille vitree cecità e veggenza.
Siamo circondati dal vento, da vortici che dicono il fervore delle cose, da nubi. Esplosioni, bagliori (ciò che il desiderio genera è sempre ciò che vi è di più chiaro). E poi giungono a volte le lente sere della malinconia, che si va zitti per l'ombra e, tutto è scordato. Le paurose bonacce dell'immobilità che magico il mondo pare un vago rispecchio di lago.
Ciò che si vede è un'arte completamente fondata sull'intelligenza, che non esclude l'emozione (cosa che non avrebbe il minimo senso) ma lo provoca e l'approfondisce; che si confronta e collude con la maniera seducente della tradizione; che scivola attraverso l'allucinazione semplice della quotidianità, addentrandosi nei colori, nel succedersi dei piani scandito dai profili rilevati sul fondo sino a scoprire il disegno infrangibile dell'opera.
Noncisicapisce Piùniente o le situazioni si stanno infine chiarendo? Fanciulli che crescono con occhi profondi spiano il futuro, hanno visioni amorose, indistinguibili "doppi". Andate. Gratificatevi. Mezzo distesi sugli antichi parapetti d'Europa, fissiamo altrove. Il tempo si svia, la fissione è in corso. Che altro? Giocattoli dell'universo, i missili, rassicurante prodigalità della morte.
Tutto deve esprimersi in tutto. Non diviene tutto indecifrabile non appena la mente indugia e cessa di rispondere per rivolgere - invece - domande? Il cervello conia definizioni. Occorre affascinare gli occhi; attrarre lo sguardo sino alla profondità della ribellione, denunciare l'orrore e la gioia cui va incontro la nostra epoca. Costruire per distruggersi. Riprendere ogni quando il discorso.
Il gioco, il trucco-verità, è nell'evadere dai contorni, dismettere tutto quanto può inaridire in una formula, avere dei segreti. Disarticolare / recuperare l'equilibrio sperimentando i miracoli del caso: qui ed ora, in una sagoma (una vecchia cornice, una spalliera di letto) rinvenuta per strada, che si copre di segni; in un frammento di specchio solcato da una scia d'alfabeti, ombra scritta, cacofonia-polifonia di suoni muti, di forme-tipo addensate in una costellazione su cui s'orienta il tragitto da Gutemberg al computer.
s.r. (1988)
* testo esclusivamente composto di citazioni (Boine, Valery, Rimbaud, Corso, McLuhan ecc. e di titoli di opere e di mostre di Giancarlo Gelsomino).