GE.MI.TO.
A distanza di un anno dall'edizione torinese, GE.MI.TO., la mostra dedicata da Enzo Cirone, Edoardo Di Mauro e Maria Grazia Torri all'ultima generazione artistica del triangolo industriale (sostenuta, in questa tappa genovese dagli Assessorati alle Attivitè Culturali ed al Turismo e Spettacolo nonché dall'A.I.C.S.) si presenta alla Loggia della Mercanzia, in piazza Banchi, in un'edizione largamente rimaneggiata, che ne fa a tutti gli effetti un inedito.
Nell'arco di tempo intercorso dal precedente episodio si è registrata una marcata evoluzione nell'opera di molti fra gli artisti partecipanti che - oggi - si distribuisce in un ventaglio di tendenze, forse non più ristretto ma sicuramente più omogeneo di quanto non potesse dirsi appena qualche mese fa'.
Se a Torino veniva inventariata una situazione ancora incerta, nella quale agivano ricerche figurative fortemente connotate in senso espressivo ed altre orientate invece verso una decorazione d'impronta post-modern mentre soltanto si prefigurava una ripresa astratto-geometrica, il panorama odierno si presenta segnato da un generale raffreddamento, da una "nuova riflessione" sull'atto creativo che si traduce - secondo una formula proposta da Enzo Cirone - in una "nuova economia dell'immaginario", tesa ad un impiego più controllato delle forme possibili.
È pressoché impossibile stabilire quanto possano aver inciso il mercato ed i media nel determinare questa svolta che riporta in primo piano, fra le giovani generazioni, una misura concettuale dell'arte; svolta che, comunque, manifesta la propria vitalità nell'interazione con ambiti di lavoro di estrazione figurativa, come dimostrano - per attenerci all'ambito genovese - le recenti installazioni di Enrico Ravera e Stefania Rossi alla galleria Pinta.
Il coté ligure della mostra è rappresentato da undici artisti: Gianluca Barenco, nel cui lavoro le silhouettes umane mimetizzate nel campo pittorico strutturato in nitidi tratti cromatici producono un'interferenza fra sfere diverse di significato; Elsa Boero che mette in gioco l'evidenza dell'immagine fotografica esercitando nel contempo una progressiva "presa di distanza" attraverso l'impaginazione entro uno schema grafico complesso; Tiziano Campi, che costruisce in maglia di ferro opere incentrate su una volumetria di consistenza mutevole; Roberto Costantino che sovverte la disposizione dei supporti assegnatigli, definendoli come opera tramite l'apposizione di un cordone perimetrale.
Andrea Crosa esibisce pezzi che simulano nella virtualità pittorica gli impianti rigorosi della scultura minimal mentre la ricerca di Michele De Luca, abbandonata la visceralità che l'aveva contraddistinta, inclina verso costruzioni di più rattenuta saldezza e d'"allarmata intensità". Marco Lavagetto elabora sulla tela inquadrature nelle quali si mescolano razionalità geometrica e immaginario elettronico.
Piero Millefiore prosegue nella sua indagine tesa ad una composizione unitaria di valori pittorici, oggettuali e spaziali, dislocando al suolo un elemento tridimensionale basso ed oblungo, nero, ad interagire con due piani parietali intersecantisi. Sergio Pavone assume il codice grafico computerizzato del suono nelle sagome verticali che inserisce nell'ambiente, trasformandole in emblemi di comunicazione fono-visiva; Antonio Porcelli procede, valendosi dei mezzi pittorico e fotografico come stadi ulteriori di elaborazione formale, ad una decantazione dell'immediatezza fisica del body painting.
Luca Vitone, infine, allestisce sequenze di brani topografici di cui fa rimarcare, tramite il rilevamento fotostastico, il carattere di rappresentazione "povera", schematica, della realtà.
Nel comparto milanese della mostra - che allinea l'iper-oleografia di Aschieri a fianco dell'astrattismo "freddo" di Bertasa e Cingolani - spiccano il lavoro di Stefano Arienti che ricava forme geometriche da ritagli di fumetti; la grande scultura metallica di Umberto Cavenago (un alto parallelepipedo reso semovente dall'applicazione di ruote); la texture di minimi frammenti modulari composta da Marco Mazzucconi.
Nella sezione torinese citazione arguta e pittura vivacemente inespressiva contrassegnano l'opera di Ferrazzi e Vetrugno, mentre un processo di astrazione sembra affiorare in Zanichelli e, diversamente (per un'esigenza di assoluto controllo dell'esito formale), in Bruno Sacchetto.
Ancora, un'ironia dichiarata anima le installazioni paradossali di Santo Leonardo; una strutturalità architettonica sostanzia la proposta sculturale di Enzo Bersezio.
s.r. (1988)