Marina Giannobi, Oxygen, 2001
G8, IL BLACKOUT DELL'ARTE
Basta girarlo, l'otto, ruotarlo in orizzontale, per far
emergere il simbolo dell'infinito. Non altrettanto semplice, sicuramente, sarà
far scaturire dal prossimo incontro dei capi di stato e di governo dei paesi più
industrializzati un avvenire sostanziato di prospettive accettabili, anche se
non prive di limiti, per gli abitanti della terra, per quella "platea dell'umanità"
cui la 49a Biennale di Venezia intenzionalmente dedica la sua esposizione centrale.
Che lo si voglia o no, l'arte costituisce uno dei campi in cui la globalizzazione
si è realizzata con maggiore compiutezza, anticipando, almeno di un secolo,
nell'emisfero occidentale, le tendenze più recenti della nuova economia.
Già negli svolgimenti anteriori alla contemporaneità l'attenzione s'era appuntata,
con Manet, sulla pittura giapponese, e poco dopo, - grazie alla mediazione di
Vlaminck, Picasso e Modigliani - sulle arti primitive. Non senza riflessi e
aperture esercitate, negli anni più vicini a noi, sulla produzione dei continenti
africano ed asiatico, grazie a rassegne di segno ambiguo quali "Partages
d'exotismes" (Lyon 2000) ed a "Mirror's Edge", allestita dal nigeriano Okwui
Enwezor in varie sedi fra il 1999 ed il 2001.
Ma seppure per lo più utilizzata strumentalmente, in occasione del G8, a fini
di turismo culturale (per tenersi all'impostazione di "Viaggio in Italia"), o
con l'intento di avvalersi di opportunità e di risonanze mediatiche, come nel
caso di "VB48", la performance allestita da Vanessa Beecroft nel Salone del
Maggior Consiglio, l'arte nel suo insieme non sembra voler cedere senza contesa
al potere il terreno centrale della libertà di pensiero e di linguaggio.
Così, di fronte al muro innalzato contro il "Popolo di Seattle", rivendica, a
Genova, con una mostra allestita nella sede di Kaiman Art in via del Molo, uno
spazio franco, dove la discussione dei potenti e la protesta degli esclusi non
soffochino la ricerca di nuove possibilità espressive. Non icone o strategie
forti, del genere di quelle che si ritroveranno a fine mese a rappresentare le
valenze politiche dell'arte nella seconda metà del '900, nella rassegna
"Antagonismes", ospitata al MACBA di Barcellona. E neppure mediazioni fra
cosmopolitismo e tradizione locale, secondo gli indirizzi della rassegna "Il
volto felice della globalizzazione" che andrà in scena ad Albissola nei giorni
del summit genovese. Ne "Il blackout dell'arte", a cura di Linda Kaiser,
otto autori, attivi in diverse realtà italiane, fra Genova, Milano e Roma,
hanno realizzato, in otto giorni, opere "sul motivo", ospitate in locali di
cui si prevede la chiusura anticipata per esigenze di sicurezza. Ubaldo
Bertolini, pittore "anacronista" espone un disegno dove una strada indica un
cammino senza barriere. Marina Giannobi, in "Oxygen", mette a fuoco il tema
della sensazione d'asfissia indotta dalla restrizione degli spazi. Marco
Lavagetto occulta in una scatola decorata da francobolli che documentano il
ritorno della democrazia in Nigeria, una finta bomba. Il compositore Paolo
Castaldi realizza uno spartito ("Tod und") che contrappone un "morendo" ad una
resurrezione tracciata attraverso notazioni musicali. Elena Chiesa propone un
video ("Sit-in / White-in / Wipe Off") giocato su sequenze di elementi bianchi
che alludono al colore delle tute dei contestatori. Corrado Zeni allestisce una
piccola installazione in cui otto figure in resina contemplano, bendate, da un
piedistallo il mondo circostante. Danilo Premoli rende visibile su un computer
portatile un quadro mobile dove la parola "AMO" invade lo schermo e si perpetua
nel tempo. Mentre Norma Jeane consegna la sua opera impossibile ("Mind the gap",
titolo riecheggiante l'avviso, ripetuto nell metropolitana londinese, a tenersi
a distanza dalle rotaie) ad un foglio che propone l'apertura della galleria,
incustodita, per un giorno intero, nel periodo del Vertice.
s.r. (luglio 2001)