DOMENICA LAURENZANA: FRATTURA DEL MONOCROMO
“Fare pittura” è stato negli anni ‘70 non soltanto il titolo effimero di un’esposizione ma lo slogan che ha segnato la riproposta - in chiave d’essenzialità - di questa tecnica di fronte all’invasione di campo perpetrata dalle componenti oggettuali e dall’incombere dell’immagine pubblicitaria o fotografica. Colore (sovente isolato nello spazio sottile del monocromo), indagine sulle peculiarità dei materiali e del supporto o addirittura l’atto stesso del dipingere costituivano in quel periodo i punti cardinali di una nuova esplorazione della dimensione pittorica, passata sotto nomi diversi come “Fundamental Painting” o “Analytische Malerei”.
In una riflessione sul primo di questi aspetti, Italo Mussa metteva in luce il percorso di progressiva “mentalizzazione” dell’impiego del colore, dall’impressionismo al fauvisme, recuperando fra l’altro la celebre affermazione di Matisse: “Quand e mets un vert, ça ne veut pas dire de l’herbe; quand e mets un bleu, ça ne veut pas dire du ciel”. Presa di partito bilanciata tuttavia dall’asserto - più recente - di un proto-concettuale come Yves Klein, secondo il quale il blu, suo colore d’elezione, “ricorda il mare e il cielo”, elementi “della natura tangibile e visibile” sebbene prossimi all’astrazione.
E’ nell’interstizio fra un’accezione anti-illusionistica del colore e la sotterranea persistenza d’un registro analogico che si colloca, oggi, il lavoro di Domenica Laurenzana.
Rispetto alle composizioni dei primi anni ‘90 in cui si awertiva una profonda sensibilità atmosferica, espressa nell’alternarsi di addensamenti e rarefazioni cromatiche, negli andamenti curvilinei e frammentati, nei dipinti realizzati nell’ultimo biennio l’artista intraprende nel singolo dipinto un radicale restringimento della gamma, concentrando all’interno di una tonalità dominante il gioco di rapporti in precedenza articolato su uno spettro più ampio.
Questa sorta di doppia tensione - verso un rigore volto a scongiurare una fruizione dell’opera in termini di semplice empatia e, insieme, verso una condensazione delle radici emotive in una misura primaria - approda ad un esito singolare. Che lambisce la monocromia derogandone l’impulso azzerante, per ricercare una nuance ove concretezza fisica e risonanze del colore trovino un equilibrio dinamico, suscettibile di nuove declinazioni.
Il lavoro di riduzione e di affinamento, d’esercizio metodico e di variazione ininterrotto, attuato tramite l’aggiunta di stesure via via più compatte sui fondi ariosi che s’intravedono nei varchi dischiusi dalle dita di cui ancora s’avverte l’impronta, conduce - lungo un tragitto riconosciuto da Bernard Lamarche-Vadel - l’oggetto-quadro, nella sua configurazione materiale, a coincidere con l’oggetto-del-quadro, identificato non solo nella trasparenza autoriflessiva ma nella “frattura del monocromo”: nelle vibrazioni del tempo attraverso la pittura.
s.r. (2005)
DOMENICA LAURENZANA: NUOVI DIPINTI AL CINEMA OLIMPIA
Riaperto dopo poco più d’un mese, dopo un misurato restyling ad opera dell’architetto Andrea Brignolo, il cinema Olimpia sottolinea il suo nuovo corso, aperto al teatro ed alle arti visive, ospitando sino al 30 settembre una rassegna di lavori pittorici di Domenica Laurenzana. Si tratta di cinque grandi tele, realizzate nell’ultimo biennio, che documentano l’avvio di una nuova fase nel percorso di quest’artista, che conduce da tempo una ricerca appartata e coerente in cui la concentrazione sugli elementi fondamentali della pittura è venuta progressivamente convertendo all’essenza la germinazione emozionale. Mentre, infatti, i dipinti dei primi anni ’90, esposti all’epoca nelle sale della galleria Rotta, accoglievano – pur se in una declinazione astratta – atmosfere d’impronta naturalistica, nelle improvvise variazioni di luce e nella inflessione cangiante del colore, già nella personale tenuta nel 2005 allo Studio B2, l’autrice mostrava una radicale riduzione della gamma cromatica ed un penetrante esercizio svolto su minime variazioni tonali, realizzato attraverso la sovrapposizione di stesure sempre più dense, di calcolata irregolarità. Nei quadri presentati all’Olimpia, si coglie la transizione verso un diverso approccio, sempre legato ad uno degli aspetti fondamentali del “fare pittura”, ma legato al segno, anziché alla modulazione del colore. Se nei lavori collocati nel foyer viene approfondita la linea di ricerca già intrapresa, nella tela posta accanto all’ingresso si incontra, infatti, un intreccio curvilineo, impresso con un gesto fluido, nel quale spontaneità e disciplina paiono legarsi inscindibilmente in una sorta di moderno arabesco, capace di tenersi in equilibrio fra le due principali correnti astratte incentrate sulla componente lineare, l’organica e la geometrica. Capace, ancora, di rammentarci la verità del motto di Henry Van de Velde, l’architetto belga alfiere dell’Art Nouveau, secondo cui la linea non è un tratto inerte ma una forza “che, come tutte le forze elementari, è attiva”.
s.r. (2008)