ARTE DELLA LIBERTA'
A conclusione d'un rodaggio durato un paio d'anni,
Palazzo Ducale - il più prestigioso fra gli spazi espositivi genovesi - sembra
finalmente essere entrato a regime.
Dopo qualche mostra discutibile ("I
Macchiaioli e l'America") ed altre importate (Bourdelle, Chagall, in parte
Puget) dalla scorsa primavera la programmazione ha raggiunto, a partire dalla
grande manifestazione dedicata a Bernardo Strozzi, una dimensione qualitativa
che lo colloca in primo piano nello scenario nazionale.
Mentre sul piano delle rassegne storiche questo
ruolo dovrebbe risultare confermato dall'esposizione dedicata al rapporto fra
Genova e le Fiandre, in fase di preparazione, nella prima tornata d'iniziative
seguite alla pausa estiva l'attenzione s'è appuntata in prevalenza sulle arti
del Novecento, con qualche apertura, contenuta ma non per ciò meno
significativa, verso il contemporaneo.
A quest'ambito possono
ascriversi il Convegno "Il museo come archivio del contemporaneo",
organizzato da Linda Kaiser, che ha visto intervenire numerosi giovani
ricercatori di varia provenienza europea, e "Tra il fisico e
l'ottico", una mostra curata da Viana Conti per la Regione Liguria, il
Goethe Institut Genua e la Pro Helvetia, sul tema dell'identità nelle arti
elettroniche, cui hanno preso parte Barbara Hammann, Franziska Megert e Cesare
Viel.
In concomitanza con il centenario della Biennale di
Venezia è stata quindi allestita, da un'equipe di studiosi coordinata da Franco
Sborgi, "Presenze liguri alle Biennali di Venezia 1895-1995",
esposizione che se vale per la ricostruzione storica proposta attraverso i
saggi raccolti nel catalogo edito da Tormena non riserva però emozioni o
sorprese nell'incontro con le opere, trattandosi di materiali noti e ripetutamente,
quando non in permanenza, esibiti in città.
Grande interesse, non solo per l'alta qualità delle
opere ma proprio perchè in larga parte mai esposte in Italia, riveste invece la
rassegna "Arte della libertà", ordinata da Gianfranco Bruno e Franco
Sborgi con lo storico Enzo Collotti, in occasione del Cinquantennale della
Liberazione.
L'impianto della mostra, che attraverso poco meno
di trecento opere di pittura, grafica e scultura provenienti da una trentina di
musei europei e statunitensi, esemplifica nell'arte l'opposizione alle
dittature nazista e fascista, alle guerre ed ai genocidi da esse perpetrati,
non si discosta più di tanto dalle linee tracciate, in anni ormai lontani, da
studiosi come Ehrard Frommhold e Mario De Micheli.
Le stazioni del percorso prendono le mosse dalle
"inquietudini e prefigurazioni" di un'apocalisse prossima ventura che
si diffonde negli anni Venti e Trenta di fronte all'involuzione autoritaria
delle società italiana e tedesca per passare poi alla sezione che documenta
"il volto del totalitarismo" ed al capitolo della guerra civile in
Spagna; all'incombere ed al manifestarsi dell'"esperienza della
guerra", alla lotta di liberazione ("la rivolta"), e infine al
"recupero della coscienza".
Nel privilegiare il filone figurativo espressionista
su quelli surrealisti ed astratti la mostra oblitera, coerentemente all'assunto
antifascista, le esemplificazioni perturbanti dell'angoscia prebellica d'altra
matrice ideologica, del genere di quelle realizzate da Salvador Dalì nella
"Costruzione molle con fagioli bolliti. Presentimento di guerra
civile" (1936) o nell'"Indovinello su Hitler" (1938)
analogamente agli approdi tematici di astrattisti come Strzeminski (con il
ciclo "Deportazione" del 1940) e di un protagonista del dadaismo
emigrato in Francia nel 1933 come Hans Richter, autore del famoso collage
"Paris freed!" (1945).
Al di là di queste osservazioni, tutto sommato
marginali, ciò che emerge dalla mostra non è un'arte "di opposizione"
contrapposta ad un'arte "di regime", un'arte che pur muovendo da una
posizione etica indiscutibile si collochi in posizione strumentale rispetto ad
un fine politico, ma un'arte che si fa carico del dolore e dell'angoscia
dell'umanità, che fissa nella sua autonomia espressiva l'afflato di liberazione
dal dominio della prevaricazione e della violenza.
In questo senso, un rilievo tutto particolare
assumono opere come la "Galleria Umberto" (1925) di Max Beckmann con
la figura mutilata grottescamente sospeso alla volta fra i tricolori ed i
gendarmi in atto di sprofondare nell'acqua e la contratta "Testa di
cavallo" dipinta da Picasso nel 1937, in vista della realizzazione di
"Guernica"; come l'"Apocalisse" (1930) di Scipione, con i
suoi foschi nudi avvinghiati nel presagio del finimondo.
O, ancora, la "Fucilazione in campagna"
(1939), in cui Renato Guttuso - non imbalsamato ancora nell'estetica di partito
- rievoca l'esecuzione di Federico Garcia Lorca; la "Testa d'ostaggio
II" (1945), coagulo di materia e di colore ove Fautrier ricerca il volto
indistinto dei prigionieri che udiva fucilare dai nazisti al di là del muro
dell'ospedale psichiatrico in cui era rifugiato.
Fra le dirette testimonianze un particolare risalto
acquisiscono gli schizzi di Aldo Carpi dal Lager di Gusen, ove fu deportato; i
disegni di Corrado Cagli, volontario nell'esercito americano, dal campo di
Buchenwald, raggiunto con le forse di liberazione.
Accanto alla mostra "Arte della libertà",
visitabile fino al 18 febbraio del prossimo anno e documentata da un importante
catalogo edito da Mazzotta, sono in corso altre iniziative.
A Palazzo Ducale, "Goya e Rainer: il sonno
della ragione genera mostri", un'esposizione realizzata in collaborazione
con la Fondazione Mazzotta e la Staedtische Galerie im Lembachhaus ove le
celebri incisioni dei "Desastres de la Guerra" vengono associate ai
lavori dell'artista austriaco sul tema di "Hiroshima"e, nel
porticato, "I am you - Artisti contro la violenza", una raccolta di
manifesti realizzati da artisti europei ed americani sul tema dell'intolleranza
xenofoba, organizzata dal Goethe Institut, mentre l'Accademia Ligustica ospita
"Fotografia della libertà e delle dittature", proposta dalla
Fondazione Mazzotta.
s.r. (1995)