LA SCOPERTA DEL MARE
"Non mancano soltanto le marine, che pure sono un genere così poetico! ma anche un genere che vorrei chiamare il paesaggio delle grandi città", lamentava Baudelaire nel 1859, commentando sulla Revue française il Salon parigino di quell'anno. Il rivolgimento che sarebbe seguito nei decenni successivi, sia sull'uno che sull'altro fronte, non avrebbe potuto risultare più completo. Che ad orientare gli artisti verso la composizione di vedute marine sia poi stata la nuova attrazione del "vero" od un mutamento di sensibilità cui lo stesso poeta aveva dato voce ne L'homme et la mer, individuando nel mare lo specchio dell'uomo, se non addirittura un complesso di fattori contingenti, come la costruzione delle prime reti ferroviarie e l'affiorare di quella "civiltà del tempo libero" oggi diffusa a livello di massa, ha solo relativa importanza. Sicuramente gli stimoli che il soggetto proponeva, consentendo forse meglio di altri ambiti della pittura di paesaggio di coniugare l'adesione al dato di natura con la libertà dell'immaginazione, hanno prodotto esiti di forte presa emotiva.
Uno spaccato di questo processo viene proposto nella mostra che Palazzo Ducale ospita sino al 24 ottobre, "Scoperta del mare", dedicata ai pittori lombardi attivi in Liguria nell'ultimo scorcio dell'Ottocento e nei primi decenni di questo secolo. L'allestimento proposto dai curatori, Giovanna Ginex e Sergio Rebora nonché, per la sola sezione novecentesca, Franco Ragazzi, cui si deve anche l'autonoma rassegna "Carlo Carrà. Segni di Liguria 1917-1927", muove da una concisa esemplificazione de "La marina come genere" nella quale compaiono opere di Bartolomeo Giuliano, Pietro Marzorati, Guido Ricci, ancora condizionate da schemi tradizionali, fra le quali campeggia Colpo di mare a Porto Venere (1866) di Rinaldo Saporiti ispirata ad un'opera famosa del tedesco Andreas Aschenbach, di cui riprende l'iconografia romantica della tempesta accentuata - come nota in catalogo la Ginex - da "volute distorsioni prospettiche che fanno apparire ancor più minacciosa e incombente la forza del mare".
Fortemente segnata dal naturalismo la fase successiva ove accanto a prove d'impianto schiettamente realista, riconducibili al modello de L'onda Courbet, come Marina in burrasca, ancora di Giuliano, si distinguono le delicate marine di Varigotti di Eugenio Gignous e le vedute della spiaggia di Alassio di Emilio Gola, dipinte con un tratto particolarmente mobile che approda talora, annullando ogni convenzione prospettica, a puri effetti atmosferici. In quest'ambito la presenza più rilevante risulta essere quella di Pompeo Mariani. Del pittore monzese - il cui legame con la Liguria, iniziato attorno al 1875, diviene stabile con il trasferimento nel 1909 a Bordighera, dove si fa costruire l'atelier della Specola, ripristinato di recente dalla attiva Fondazione intitolata al suo nome - vengono presentate opere che dal vedutismo più schietto, attraversato da una sentimentalità crepuscolare (Notte nel porto di Genova, 1885), trascorrono al tour-de-force virtuosistico (L'onda sugli scogli, 1912) confermando la qualifica di "paesista pensoso e marinista risoluto e arditissimo" attribuitagli nel 1895 da Virgilio Colombo. Minore apprezzamento riscuotono, alla distanza, i numerosi lavori (fra cui Sinfonia, 1896; Le piccole vele) di Giorgio Belloni, la cui concentrazione sulla rappresentazione pittorica della distesa marina rasenta l'effetto di mera decorazione, laddove - pur nell'analoga dilatazione della superficie del quadro - Filiberto Minozzi (Sinfonia del mare, 1909) riesce ad attivare una sorta di trasfigurazione simbolica del paesaggio.
Altra presenza maggiore quella di Gaetano Previati (anch'egli trasferitosi in Liguria, a Lavagna, nell'ultimo scorcio di vita) documentata dallo splendido Tramonto in Liguria (1912), che sembra sigillare nella "visione della natura come paradiso terrestre incorrotto, regolato dalle leggi eterne dell'armonia" (Piantoni) l'esperienza simbolista, dischiudendo nel contempo le atmosfere di magica sospensione verso cui s'indirizzeranno le ricerche degli autori novecentisti.
Di queste inizia a dar conto la sezione dedicata a "La villeggiatura": una carrellata che coinvolge, fra le molte, opere di Salietti (Pomeriggio domenicale, 1937-38, acquistato alla quadriennale dalla Galleria Nazionale d'Arte Moderna), Aldo Carpi (Fior d'oleandro, 1928) Gianfilippo Usellini (Il trampolino, 1932, presentato al Premio Bagutta-Spotorno). La declinazione nettamente metafisica di quest'ultimo lavoro trova rispondenze nelle opere di autori del Novecento italiano esposte nella sala successiva: ancora Salietti cono uno scorcio di spiaggia assolato rinchiuso fra alte mura (Pomeriggio, 1923); Dudreville - forse l'autentico tramite del ritrovato rapporto dei pittori lombardi con il paesaggio ligure negli anni '10/'20 - con una veduta di Chiavari (1920) di luminosità straordinaria; Funi con un'altra veduta chiavarese dove il cielo assume una tonalità d'azzurro assoluto. E sebbene la mostra allinei, in chiusura, riconosciuti capolavori del chiarista Lilloni (Bagnante, 1933), di Arturo Tosi (Stazione di Zoagli, 1926), di Carlo Carrà (Il barcaiolo, 1930), si rimpiange che non sia stato possibile includerVi il Pino sul mare realizzato da quest'ultimo nel 1921 durante un soggiorno a Moneglia, l'opera sulla quale fa perno anche la rassegna monografica allestita nella Loggia degli Abati. La sola forse che, sposando l'essenzialità del paesaggio ("un pino solitario dal tronco nudo, una casa solitaria dalla facciata nuda ... la morta superficie del mare che s'incastra nella nuda superficie di un cielo senza nubi", annotava Worringer) alla forza evocativa della pittura, oltrepassa lo "sguardo malinconico" da cui, secondo Ragazzi, sono segnate le prove dei pittori lombardi del Novecento, per indurre "un ritorno alle scaturigini naturali del mito".
s.r. (luglio 1999)