Hozro: materiali sulle arti visive a Genova





ROBERTO MARTONE

All'ambito, vasto ed articolato, della Nuova Figurazione si è ascritta la ricerca pittorica svolta negli anni '60/'70 da Roberto Martone. Di questa tendenza l'artista condivide infatti non soltanto l'aspirazione al "superamento del vecchio rapporto visivo-naturalistico" ma la volontà di esercitare un "diretto intervento, e con i loro stessi strumenti,... nei processi comunicativi dell'uomo contemporaneo" (Crispolti). Il suo operare lo apparenta, quindi, a quel nucleo ristretto di autori cui s'attaglia la definizione più rigorosa, proposta da Antonio Del Guercio, di figurazione critica. "Oggetti e figure - rileva Gianfranco Bruno in una nota apparsa nel 1972 su NAC - appaiono infatti sulla tela con una conoscibilità che permette allo spettatore di entrare nel vivo di un esplicito discorso. Generalmente si tratta di immagini dell'uomo, dilaniato nel mezzo di taglienti campiture di colore, intenso e d'una purezza metallica che bene individua l'intento di Martone di esprimere una condizione sofferta nella quotidiana esperienza dell'essere chiuso nel mondo del profitto, del lavoro, della macchina". Nella sua esplorazione mondana, l'artista, consapevole che "la rappresentazione per non essere descrittiva deve coincidere con l'essenza ultima delle cose", scarta l'enunciazione cronachistica per attivare un dispositivo imperniato su un'immagine frammentata del corpo, volto a creare "uno spazio in cui il senso dell'umano è come impegnato in una costante sollecitazione a far uscire l'immagine da una sorta di duplice dimensione, visiva e simbolica, per caratterizzarla in una proiezione etica" (Beringheli). Se a quest'obiettivo è funzionale la composizione frantumata, la scansione del quadro ottenuta con spessi segmenti diagonali che fissano l'alterit delle componenti e l'assoluta contestualità dell'insieme, la tipologia delle immagini evidenzia invece la propensione dell'artista per un ambito di "larghe metafore barocche, dilaganti", ove s'avverte, come ha puntualizzato Vittorio Fagone, "l'eredità dei fantasmi di Savinio (e il loro giuoco, ma fuori da un'aura metafisica)". Ed è lungo questa seconda direttrice che pare disporsi, negli anni '80, il lavoro di Martone, assumendo un repertorio iconico mutuato dalla storia dell'arte: un'immagine appunto riflessa, fantasmatica, che fa della rappresentazione (e non più del reale) il suo oggetto. Nei lavori presentati al Teatro del Falcone nella rassegna "Pittura fra storia ed evento" (1985), si riscontra operante, nella giustapposizione d'immagini d'antan ed attuali, una poetica del doppio, ove le sembianze del passato e del presente (accomunate sovente, come attestano i titoli, da una tonalità melanconica o di nostalgia), esercitano uno scambievole contrappunto. In dipinti quali Chi ha amato ciò che ha perso o Al centro di una malinconia (entrambi realizzati nel 1985) si rovesciano i parametri usuali del rapporto fra dato memoriale ed esperienza in atto, giacché il primo è reso in termini di nitida presenza mentre la seconda risulta, piuttosto, evocata come perdita. Ma, se questa indefinitezza dell'immagine odierna è suscettibile d'esser letta in rapporto alla tematica postmoderna della dissoluzione del soggetto, può - al tempo stesso - riconoscersi come trama d'un compimento a venire, in un "gioco-ponte" che per via indiretta ripropone - secondo le parole stesse dall'autore - "una prova dell'individuo alla ricerca della libertà".

s.r. (1995)





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