Hozro: materiali sulle arti visive a Genova



 

 

LEONARDO MASSABO’
DA VILLA TORLONIA A PORTO MAURIZIO

 

 

Profeta in patria, Leonardo Massabò (Porto Maurizio 1812-1883) è stato certamente, almeno quanto può divenirlo un pittore. Ne fan fede gli affreschi e i quadri che decorano la basilica mauriziana così come le molte opere eseguite per chiese, edifi­ci pubblici e residenze private della sua città e di centri vicini quali il sipario e gli affreschi del Teatro Cavour, ancora a Porto Maurizio, l'"Amore disarmato dalla Castità" e gli "Idilli d'amorini" replicati in Palazzo Bianchi ad Oneglia, la "Nascita di San Giovanni Battista" per l'altar maggiore della Chiesa di San Giovanni a Pieve di Teco, il "Cristo in Croce" della parrrocchiale di Pontedassio.

Se il caso non ha mancato di giocare un ruolo nella carriera di Massabo', facendo coincidere temporalmente le necessità di ornamentazione pittorica della "Chiesa Nuova" di Porto Maurizio (eretta su disegno del Cantoni e terminata nell'inverno 1836-37) con il raggiungimento, da parte sua, della piena maturità artistica e consentendogli pertanto di raggiungere, nell'ambito locale, quella posizione di assoluta preminenza cui s'è fatto cenno, non va dimenticato come la sua prima affermazione sia avvenuta nel contesto, più ampio (e perciò stesso più diffi­cile anche se maggiormente ricco di stimoli e d'opportunità), della Roma papalina e risorgimentale, fra il 1828 ed il 1850, negli anni in cui s'accendeva il dibattito sulla ripresa trecen­tista del Purismo - propugnato da Antonio Bianchini, Tommaso Minardi, il già Nazzareno Overbeck, lo scultore  Tenerani  -  e veniva emergendo la figura del bergamasco Francesco Coghetti al quale l'artista portorino rimase lungamente legato.         

Su questa prima fase dell'attività del pittore, dagli studi condotti ancora adolescente presso la Pontificia Accademia Roma­na delle Belle Arti di San Luca ai lavori realizzati nella Villa sulla Nomentana e nel Palazzo di piazza Venezia del principe Alessandro Torlonia, contribuisce a richiamare l'attenzione la mostra di bozzetti e disegni allestita, su iniziativa del­l'Assessorato alle Attività Culturali del Comune di Imperia, da Mariateresa Anfossi e Gianni De Moro, nella sala della Pina­coteca Civica, con il sostegno finanziario della Cassa di Ri­sparmio di Genova e Imperia.

La rassegna prende infatti le mosse da un gruppo di nudi maschi­li, risalenti al periodo della frequentazione accademica (1829-1833), che pur nella convenzionalità dell'esercitazione "testi­monia notevole livello disegnativo, impegno nella resa espressi­va potenziata dal gioco attento delle luci e delle ombre che la matita efficacemente registra, precisione nella lettura della rilevazione muscolare" (M. Anfossi).

Ad esso fanno seguito taluni studi per gli affreschi di soggetto mitologico realizzati nel salone da ballo di Villa Torlonia (1837-38?), ove già affiorano la luminosità e la vivezza cromatica caratteristiche dell'artista portorino, ed i cartoni per le allegorie de "La Forza" e "La Gloria delle Armi" (1838-39?).

Una svolta verso una produzione di tema prevalentemente religio­so (determinata dal venir meno delle commissioni di Alessandro Torlonia e dal sostituirsi ad esse di incarichi di porporati quali Carlo Odescalchi ed il genovese Giacomo Brignole) si manifesta nei lavori successivi (studio per l'"Estasi del Beato Martino di Porres", 1940-41; studio per la "Visitazione" di Santa Maria in Aquiro, 1845-48?) e con la serie di lavori per la Basilica di San Maurizio, principiata nel 1839 con la preparazione della tela de "Il Beato Leonardo che converte il bandito Lupo in Corsica" e proseguita per tutto il trentennio successivo, puntualmente seguita in mostra con i disegni per la "Madonna del Rosario" e la "Madonna del Carmelo" (1849-55), per gli affreschi dedicati a San Giovanni Grisostomo, San Gregorio magno e San Girolamo nel deserto ed altresì con il grande cartone per "La cacciata dei mercanti dal Tempio" (1865-66).

Lavori in cui la rappresentazione, accuratamente architettata, sembra inclinare vieppiù verso una cadenza aneddotica priva di accenti emotivi, mantenendo tuttavia le qualità positive indi­cate da Giuseppe Checchetelli, uno fra i maggiori critici romani dell'epoca, nel recensire sull'"Album" del 30 settembre 1843 il già menzionato quadro de "Il Beato Leonardo che converte il brigante Lupo in Corsica" : "non io stommi a lodare, come per gli aggruppamenti svariati delle figure, l'opera del Massabò per disegno e colore; ciò che spetta esclusivamente agli arti­sti. Se però mi sia lecito riferire il parer di alcuni non invidiosi né maligni, perchè dotti e operosi, dirò aver essi pregiato così i contorni che profilano le figure, così la buona imitazione della natura nelle tinte; le quali tuttoché elevate a toni robustissimi, tengono alla scuola veneziana tanto per la trasparenza quanto per l’armonia onde abbellasi il quadro d’una gaia unità. Lo ripeto: un giudizio più ragionato agli artisti: ma non mi terrò io per questo dal dire che il lavoro del Massabò o vagliasi guardare alla composizione e alle diffi­coltà del subbietto, o al partito ch’ei scelse per mostrare nelle figure bello studio del piegare e del nudo, sia tale da onorar lui e chi gliel commise”.

 

s.r.  (1990)





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