PLINIO MESCIULAM A CHIAVARI: CROCI E INCROCI (1987-1997)
Molti fra gli artisti di spicco del nostro secolo hanno mostrato di conservare, con il procedere dell'età, una felicità creativa indiscutibile. Basti pensare agli esempi eclatanti di Picasso o di Matisse. O, per tenerci al nostro paese, di Burri e Melotti. Assai più ridotto sembra essere invece il numero di coloro che, al culmine di una lunga carriera, hanno mutato l'indirizzo delle proprie ricerche, iniziando un percorso radicalmente nuovo.
A questa seconda categoria può ascriversi Plinio Mesciulam, il cui complesso itinerario fra le tendenze contemporanee, intrapreso nell'immediato dopoguerra, sembra essersi concluso al compimento dei sessant'anni, per lasciar spazio, a partire dal 1987, ad un'espressione in dialogo non più con gli eventi artistici coevi ma con la propria interiorità, ove emozione e pensiero, invenzione di forme e riferimenti simbolici s'intrecciano inestricabilmente.
Sul periodo che corre fra la prima uscita pubblica dell'artista (alla Quadriennale romana del 1948, con un quadro incluso nella sala degli astrattisti) ed il ciclo iperdecorativo dei primi anni Ottanta quando esponeva al Teatro del Falcone con i "Nuovi-Nuovi", il gruppo di giovani "postmoderni" riunito da Renato Barilli ha fatto il punto l'antologica allestita da Sandra Solimano a Villa Croce nel 1994. In quella sede venivano ricostruite le fasi salienti della ricerca di Mesciulam: dai lavori protoinformali esposti al Caffé Venchi nel 1950 alla partecipazione alle attività del Movimento Arte Concreta nei primi anni '50, alla successiva produzione informale materica, contrappuntata nel successivo decennio dalla fondazione del Gruppo Cond (1964) che si prefiggeva di contrastare il condizionamento imposto attraverso le immagini dai mezzi di comunicazione di massa. Senza ovviamente tralasciare di concentrarsi sulle operazioni analitiche e combinatorie condotte a proposito del "segno precario" (scritture e tipografie ordinarie estrapolate dal loro contesto attraverso processi d'ingrandimento e di frammentazione) e sull'esplorazione concettuale dei circuiti comunicativi sviluppata attraverso il "Centro Mohammed", la cui importanza non ha trovato ancora adeguato riconoscimento in sede storica.
Al lavoro personalissimo degli ultimi dieci anni, solo in parte rappresentato nell'antologica genovese, è invece dedicata la grande mostra ospitata per iniziativa del Comune di Chiavari nell'ex Chiesa di San Francesco ed in Palazzo Rocca. Sin dal titolo, "Croci e incroci", si palesa il reciproco implicarsi degli aspetti formali e simbolici: il semplice, ripetuto intersecarsi dei tratti pittorici dà luogo alla figura della croce, legata al dramma del dolore e della morte ma insieme tramite di salvezza spirituale. Una figura che pu dissimularsi, moltiplicata all'infinito, in una trama di sfondo, o divenire (come accade nel dipinto del 1996 riprodotto sulla copertina del catalogo) tema esplicito dell'opera. Una figura che Mesciulam propone anche nella struttura delle finestre che popolano le sue prove recenti, memoria trasposta dell'esperienza estatica vissuta da Jakob Böhme nel 1600 quando, osservando un raggio di sole riflettersi su un recipiente di metallo, fu condotto dalla visione a conoscere "l'Essenza di tutte le essenze, il fondamento e l'abisso di ogni cosa".
Se l'impronta mistica che sostanzia l'insieme delle opere dell'ultimo decennio ha determinato uno stacco profondo con il periodo precedente (riprendendo semmai spunti affiorati assai più addietro), sul piano formale si mantiene una più stretta continuità con la produzione della prima parte degli anni '80, testimoniata dalla disposizione a mosaico del colore negli sfondi, dall'utilizzo di supporti in legno variamente sovrapposti che assumono valenze di bassorilievo quando non di vere e proprie sculture.
Anche in quest'ambito si manifesta per uno scarto: verso una articolazione maggiormente complessa quale si riscontra in un'opera come "Fuga" (1996) in cui pittura e fotografia si inseguono, come nota Viana Conti, "lungo una catena di ribaltamenti in negativo" e nel contempo verso un confronto sempre più serrato fra la dimensione emozionale e la componente costruttiva del lavoro che Mesciulam sintetizza nella formula del "sovraespressionismo".
s.r. (1997)
LA MONTAGNA E LA
RETE: MOHAMMED
Ancora non
distanziato nel tempo quanto basti per consentire un accostamento sul piano
storico, Mohammed si reinventa in un presente ove lo scenario della
comunicazione, se non dell’arte, si presenta radicalmente mutato rispetto alla
situazione in atto poco più di una ventina d’anni or sono. Allora, con
l’eccezione del mezzo televisivo (rimasto sostanzialmente inaccessibile agli
artisti) l’articolazione delle reti comunicative poteva dirsi sostanzialmente
omologa a quella esistente all’inizio del ventesimo secolo, imperniata su
stampa, posta, manifesto, telefono e radio. Nell’ambito di questo sistema,
schemi di diffusione tendenzialmente universali e monodirezionali (stampa,
pubblicità, televisione) si alternavano a scambi che oggi si direbbero peer
to peer, basati essenzialmente sul telefono e sul tramite postale, con
qualche apertura sul versante radiofonico, grazie alle trasmissioni aperte
all’intervento in diretta del pubblico, divenute popolari negli anni ’70.
Nonostante gli
esperimenti dei Futuristi (sulla posta e la radio) e le intuizioni degli
Spazialisti (a proposito della televisione) o - sul versante telefonico - di un
autore beat come John Giorno, promotore dell’operazione “Dial-a-Poem”, è stato
solo con Ray Johnson e la Mail Art che si è concretizzato, a partire dagli anni
’60, un duraturo intreccio fra attività artistica e circuito comunicativo.
Un simile
riconoscimento va però temperato da una constatazione di segno diverso. In
effetti la Mail Art, al di là di taluni aspetti mimetici (uso di timbri e di
francobolli, questi ultimi, sovente, d’invenzione) utilizza la rete postale per
ciò che è, come veicolo di trasmissione di messaggi verbovisivi, realizzati su
supporti cartacei (o equivalenti). Non vi si dà una messa in questione dello
strumento comunicativo o della comunicazione in sé stessa. Si mette in scena,
piuttosto, un debordare dell’arte dai suoi ambiti tradizionali. Ed anche la
comunità planetaria che grado a grado si è venuta realizzando fra i mailartisti,
pur prefigurando in qualche modo analoghe aggregazioni formatesi in seguito sul
world wide web, non sembra il frutto di un progetto coscientemente
perseguito ma di un processo in larga misura imprevedibile.
Assai diverso è il
punto di partenza di Mohammed, ciclo intrapreso da Plinio Mesciulam nel
maggio 1976, che sin dall’inizio si pone invece - volutamente - come
laboratorio di comunicazione.
Nella prima fase,
limitata a dodici destinatari (più che interlocutori veri e propri), muovendo
da una scelta che oggi verrebbe bollata come spamming per i risvolti
d’intrusione nella privacy che implicava (“voi non mi cercate, ma io vi ho
cercato”), l’autore ha tradotto in una realtà debitamente fittizia un circuito
articolato su molteplici livelli, in cui – volta a volta – venivano esplicitati
o “criptizzati” mittente, ricettore e messaggio. L’analisi, condotta non di
rado sul filo del paradosso logico, si concentra sui tratti di verità e di
finzione dello scambio epistolare, sugli snodi fra informazione e disinformazione,
accostando temi divenuti d’attualità negli anni ’90 con le rielaborazioni
neoiste di spunti dada e situazionisti: l’idea dell’autore anonimo-collettivo e
il continente del plagio, lambito nella copia
“scritta con mano tremante” dell’Infinito leopardiano e la
teorizzazione dell’artista come vampiro ma già puntualmente messo a fuoco nello
scambio con Armando Battelli di una pagina lukàcsiana firmata (anche) da
quest’ultimo e intitolata Intervento critico non anonimo.
Nel secondo
momento l’attenzione si sposta sulla rete, con La possibilità, per il
destinatario, a diffondere il messaggio, moltiplicandolo esponenzialmente
(secondo uno schema analogo a quello delle “catene”) ed a retroagire sul
mittente. Con ciò Mohammed-Mesciulam proclama la sua profezia, anch’essa - va
precisato - non definita negli sviluppi ma certamente calcolata: quella di una
diffusione planetaria del messaggio, tramitata da soggetto a soggetto, in grado
di attivare una trama di rimandi potenzialmente illimitata.
Oggi Mohammed Due,
attivato solo da qualche giorno, sembra reclamare, à rebours, benché sul
punto di espandere la propria ramificazione in Internet, la dimensione
individuale (ancor più ristretta di quanto non dicesse in origine la
sottointestazione del Centro) della comunicazione. Ma deve ormai fare i conti
con i replicanti spersonalizzati delle chat.
 
s.r. (novembre 2001)