MARIO MORONTI
"... c'è una lingua in mezzo, per esempio, nera, che scatta contro il pavimento, e incomincia che salta, come una striscia di liquirizia. (...) Ma è che sopra la punta di W, quella di sinistra, la prima, ci sta una macchia d'olio, sciolta in un giallo che fa una S, quasi, e che poi ritorna rossa, quando si sposta, soltanto, perché mi fa la goccia. E' il momento buono per sostenere tutto con la paglia, con il filo di ferro, con un ramo legnoso che si accende e che si insanguina e che cola..."
Così, nelle parole di Edoardo Sanguineti, la pittura di Mario Moronti viene restituita alla mobilità del suo farsi, all'energia intermittente del gesto, alla consistenza della materia, che - "in una continuità culturale (più che stilistica) con le esperienze dell'Informale" (Sborgi) - ne costituiscono i tratti peculiari.
Partito da un ambito di naturalismo astratto (cui accede per il tramite rappresentato dall'insegnamento di Vittorio Ugolini, del quale è allievo - con Mario Rocca - all'Istituto d'Arte di Chiavari), Moronti focalizza dapprima il suo lavoro sulle potenzialità, non meramente emozionali od espressive, bensì costruttive, di strutturazione spaziale, del segno, annullando - per così dire - ogni altra variabile pittorica.
"Dal tracciato che fuoriesce autonomamente dalla campitura", nota al riguardo nuovamente Franco Sborgi, "ancora ricca di suggestioni da un cromatismo latamente naturalistico, l'operazione dell'artista giunge ad una sorta di radicale azzeramento: è il momento, infatti, delle superfici nere elettricamente attivate dal percorso di un segno rapido e concentrato, anch'esso nero, a rappresentare un'indagine sugli scarti minimi di relazione che il segno in sé propone".
Recuperato, dopo questa fase implosiva, il colore assume valori timbrici più accentuati, innestandosi su un tratto che si pone - come già accennato - oltre l'allusività naturalistica e l'automatismo fisico per esaltare la sua natura tensionale, sovrapponendosi e disperdendosi nello spazio (tendenzialmente oltre il limite del quadro, come attestano opere d'impianto ambientale del genere di "28 maggio 1987") secondo una logica d'aggregazione e dissipazione di forze.
Caratteristiche, in questo senso, appaiono - pur nella varietà dei singoli dipinti - la configurazione dell'arco in contrasto con un moto ascensionale od il trascorrere, nella tela, d'una corrente longitudinale, che assumono una valenza archetipica.
Riprendendo un'indicazione di Matthias Frehner (che indirettamente documenta il vasto interesse suscitato, a partire dagli anni '80, dall'opera di Moronti nei paesi di lingua tedesca) si può cogliere in questi schemi lo scagliarsi di un impeto tellurico verso la volta celeste e, nel secondo caso, il precipitare istantaneo d'elementi attratti al suolo dalla gravità terrestre.
Analogamente, in "Cascata", una installazione composta da una trentina di tele, allestita nel 1989 a Castel Burio, i fiotti d'acqua si convertono in colate di metallo rosseggiante, la trasparenza aerea in oscurità nebbiosa, la caduta in rimbalzo e nuova ascesa, stimolando, "una sensazione fisica simile a quella conosciuta nei sogni, lo scorrere senza peso, il precipitare, il vortice, il volo".
s.r. (1995)