Hozro: materiali sulle arti visive a Genova






BLAISE PATRIX: "ÇA VA ALLER"

Ha vissuto a lungo in Africa, Blaise Patrix, conquistato dai valori di tolleranza e integrità, con cui era venuto a contatto durante un viaggio compiuto a diciassette anni nella parte occidentale del continente, culminato nell'attraversamento a piedi del Burkina Faso. E, anche se ne riconosce i limiti ("vivere solo laggiù, sarebbe una chiusura", dice), ne considera la "cultura della coscienza serena" un antidoto efficace contro i condizionamenti, forse ancora più pesanti, da cui è affetta la nostra tradizione, che definisce "cultura dello stomaco pieno". Secondo la visione dell'artista, la reciproca apertura fra prospettive in apparenza incompatibili può schiudere nuovi spazi.
Nel suo lavoro, questa ricerca si riverbera assumendo una connotazione simbolica. In "ça va aller", ad esempio, uno dei dipinti che danno il titolo alla mostra presso la Galleria Ghiglione Fine Arts, in Piazza San Matteo, si giustappongono riferimenti alla cultura occidentale (una foto di una antica statua della Madonna, la scritta in francese) e alla cultura africana (figure stilizzate, frammenti decorativi), che - grazie anche a calcolate variazioni di scala ed all'impianto policentrico della composizione - consentono a Patrix di sperimentare una spazialità differente, alla quale corrisponde una dilatazione temporale fra l'atmosfera primigenia, marcata dall'impatto fisico della stesura, a tratti "quasi fangosa", e la contemporaneità del linguaggio pittorico.
Nel contesto della produzione internazionale, l'artista interpreta il proprio operare come un contributo ad una situazione che registra novità significative, sia pure in fase iniziale. "All'epoca di Picasso e di Kandinsky", afferma, "l'arte africana è divenuta un modello importante. Ma la maschera che si appendeva alla parete mostrava le fessure degli occhi vuote, perché era fatta per essere indossata". Questo vuol dire che la si assumeva come schema formale, non come realtà culturale. Il Cubismo, l'Espressionismo, il Surrealismo stesso non hanno oltrepassato l'orizzonte eurocentrico, di fronte al quale negli anni '30 si era levata la teorizzazione della Negritudine da parte di Césaire, Senghor e Damas.
Un nuovo sommovimento, questa volta indirizzato verso l'interazione fra culture, sembra aver preso inizio con la mostra "Magiciens de la terre", curata nel 1989 da Jean-Hubert Martin per il Centre Beaubourg, e con altre iniziative come il confronto fra Alighiero Boetti e Frédéric Bruly Bouabré realizzato in "Worlds envisioned" (Dia Center, New York, 1994). Particolarmente decisa (sebbene con qualche ambiguità, che traspare sin dal titolo: "Partage d'exotismes") la messa a fuoco attuata dalla Biennale di Lione dell'estate scorsa sull'opera di artisti africani come Georges Adeagbo, Romuald Hazoumé, Pascale Martine Tayou e altri, presentati accanto ad europei e orientali. Più di ogni altra cosa però, accenna Patrix, è la scelta del critico nigeriano Okwui Enwezor come responsabile della prossima edizione di Documenta, fissata per il 2003 a Kassel, a dar adito ad ulteriori aspettative. Si designa così uno scenario ove il ponte gettato dall'autore francese con la sua pittura (nel cui ambito la recente serie dei "ritratti" tocca un punto di sensibilità estrema) acquisisce un rilievo accentuato, palesandosi conforme all'intento espresso in un'altra sua dichiarazione emblematica: "piuttosto che lottare contro, lottare per".

s.r. (dicembre 2000)





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