MICHELANGELO PISTOLETTO
Ad un ventennio di distanza dall'esplosione dell'Arte Povera, nel cui ambito si è consacrata la sua
fama, e dopo aver fatto paventare, negli ultimi anni, con sculture non immuni da una certa magniloquenza,
di aver ceduto alle lusinghe del proprio nome, Michelangelo Pistoletto ha impresso un ulteriore scarto al
proprio iter, imponendosi una "poetica dura" che trova espressione in blocchi grezzamente squadrati, dalle
superfici scabre e disuguali e dai colori anonimi.
Ne scaturisce un senso di riduzione dell'operazione artistica ad una sorta di grado zero, di spoliazione dai
cascami ornamentali in cui ha trovato rifugio gran parte dell'artisticità contemporanea, pronta ad
uniformarsi al look dominante più che a sovvertirlo; di scontro senza mediazioni con la materialità
inerte, indifferente ad ogni tensione comunicativa.
La dislocazione dei pezzi (una decina, oltre ad un bassorilievo e ad una tela che si fronteggiano sulle pareti
di fondo della galleria) sebbene alquanto fitta non assume connotazioni labirintiche né evoa - mi
sembra - atmosfere primordiali ("Oggi questa scultura si libera in una dimensione assolutamente aproblematica",
afferma l'autore); fa, se mai, pensare a quella non impegnativa del campionario; mantiene tutto l'ingombro e la
consistenza dell'ostacolo.
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