ANTONIO PORCELLI ALLA POLENA
Se per decorazione dobbiamo intendere, aderendo all'opinione espressa da Hermann Broch, una super-sofisticazione estetica che rende possibile il godimento al di là della coscienza di quanto - nella vita - con esso contrasta, una sorta di "gioco della trasfigurazione" in stretto rapporto con vacuità e cinismo, dobbiamo altresì escludere l'ascrivibilità del lavoro di Antonio Porcelli ad un tale ambito.
Benché l'impiego di materiali come la brillantina di vetro e la vivacità del colore possano condurre ad interpretarne l'opera come intervento cosmetico, il disegno che vi è sotteso sembra essere di natura differente, prossimo assai più all'aggressività che all'edonismo.
Un'aggressività esperita non in forma diretta (distruttiva) bensì attraverso una disposizione omnivora che induce all'appropriazione di oggetti e superfici, ad inglobarli fisicamente e metaforicamente ad un tempo ricoprendoli d'una velatura rilucente che costituisce un equivalente visivo della carica vitale che promana dal soggetto.
Di un simile atteggiamento sono testimonianza non soltanto gli attraversamenti di elementi architettonici (finestre) o di reperti d'altro genere (deflettori, porte di autovetture) esposti da Edoardo Manzoni ma, in forma anche più esplicita, i lavori caratterizzati da agglomerati e colature di una sostanza ghiaiosa che tende a (o minaccia di) espandersi senza freno. O, in altre guisa,la pratica del body painting - cui si riporta Heroes Crossing, performance presentata a partire dall'estate scorsa in numerose città - che applica ai corpi ed al movimento questa incoercibile urgenza assimilatrice.
s.r. 1987
ANTONIO PORCELLI: INTERVISTA
SR - Heroes Crossing, la tua performance, muta (si potrebbe dire che "cresce") ad ogni nuova presentazione,
AP - La rielaboro in funzione dell'ambiente e delle disponibilità, tenendo ferma la struttura di fondo ed il carattere multimediale dell'evento. A Cagliari, per Contaminazioni, ho aggiunto tre personaggi ed una grande camera d'aria, una specie di pallone. E' una cosa che ho pensato quando mi hanno detto che la performance si sarebbe svolta in uno spazio sotterraneo, molto ampio, diramato in corridoi. A Firenze (Vetrina della Biennale Giovani) eravamo invece in un locale abbastanza piccolo, all'interno di una discoteca. A Cagliari invece, come accennavo, c'era spazio, c'erano dei tunnel, una situazione complessa, e allora ho pensato di gonfiare questo pallone in plastica blu, pesante, da cui fuoriusciva un tubo dello stesso materiale, lungo all'incirca trecento metri, che si svolgeva per tutto l'ambiente, pavimento, tra i muri, il soffitto. La gente era disposta in mezzo, sotto, fra i tubi. C'erano due monitor di fianco al pallone e altri due in fondo alla sala. La telecamera stava all'interno del pallone e mandava in diretta la vestizione…
SR - La pittura dei corpi.
AP - Appunto. I performers erano cinque e l'operazione ha preso circa tre quarti d'ora. Dapprima la camera inquadrava solo qualche particolare: una spalla verde, una nuca, poi i modelli hanno cominciato a muoversi davanti alle scene (che erano tre, realizzate da Monica Sarsini). Alla fine ho lacerato il pallone lateralmente e loro hanno attraversato lo spazio danzando, o comunque muovendosi fra la gente e sono usciti. Quest'ultima parte sarà durata più o meno sette minuti.
SR - Hai intenzione di portare avanti ancora questo progetto?
AP - Sì, ne ho parlato con Andrea Murnik che mi ha proposto di ripetere la performance nella galleria che ha aperto di recente a Milano, forse in concomitanza con Effetto placebo, la mostra che inaugurerà - penso - il ventiquattro di questo mese.
SR - Di Genova oltre a te ci saranno Andrea Crosa e Sergio Pavone, se non sbaglio… Mi sembra di aver sentito parlare di una presentazione di Barilli.
AP - Così sembra. A Milano, poi, ho intenzione di utilizzare personaggi non solo dipinti ma profumati. Vedremo cosa ne esce.
SR - E il video che hai realizzato, che rapporto ha con la performance?
AP - I video in realtà sono tre. Ho delle riprese della primissima prova che ho fatto con Carlo Melis e un'altra ragazza in Sardegna quest'estate, nella zona dei menhir di Monte Su Crobu, a Castiales. Devo però montarli. Poi c'è Hero Crossing, ricavato dal materiale per la prima vera rappresentazione. Esiste un premontaggio fatto con Di Todaro e il montaggio definitivo eseguito in collaborazione con lo Studio Dueffe di Genova. Infine c'è Fair Play, realizzato con Pangrazio e Gallianini, in cui il rapporto con la performance è ormai solo indiretto nel senso che non c'è assolutamente l'idea di documentare qualcosa. Siamo partiti dalla registrazione di qualche sequenza, elaborandola con uno strumento che si chiama Fairlight e poi montando, senza nessuna sceneggiatura (cosa che non è stata certamente facile: occorre legare costantemente immagine a immagine…). Si vedono personaggi che si muovono ed "entrano" nel colore, vuoi per effetto dei "fuori fuoco", vuoi perché l'inquadratura si restringe ad un particolare. Dura un po' meno di sette minuti. Quel che mi ha interessato è la possibilità di mettere la pittura in movimento, non più attraverso il corpo ma usando una strumentazione elettronica che permette altre soluzioni, diversamente inimmaginabili.
SR - Non temi però che, passata la fase di sperimentazione del mezzo, questo modo di fare il video, basato in pratica soltanto sull'elaborazione dell'immagine, finisca abbastanza per rìrivelarsi abbastanza inutile standardizzato? Che si finisca in una specie di vicolo cieco?
AP - In questo momento non vedo niente del genere. D'altronde io non sono un videomaker, voglio dire che mi interessa esplorare le possibilità del video non rinchiudermici e non fare nient'altro. E il video, oggi, mi consente di trovare immagini forti. Mi serve un'emissione di colore, un ritmo, più che un racconto o dei significati. D'altronde il titolo che ho scelto è abbastanza eloquente,esprime bene la mia intenzione di giocare "a carte scoperte".
(intervista raccolta da s.r., 1987)
PORCELLI A CELLE LIGURE
La mostra di Antonio Porcelli - curata per il Comune di Celle Ligure, nell'ambito del ciclo "Nuove Proposte",
da Stelio Rescio - riepiloga il "già consistente accumulo di esperienze" attraversato dall'artista nel
corso dell'ultimo quinquennio, in un percorso che da "Apparenze e altri oggetti", allestita da Enzo Cirone presso
il Centro Il Brandale di Savona (1984) giunge sino alla recentissima "Ordine e disordine" (Rimini, settembre-
ottobre 1988) in cui Renato Barilli ha raccolto alcune fra le ricerche piuù stimolanti emerse sulla scena
contemporanea.
Benché caratterizzato da una consapevole multilateralità, il lavoro di Porcelli si articola in
una riqualificazione estetica della quotidianità che ne investe le componenti ambientali, corporee ed
oggettuali "dlatando lo spazio della comunicazione visiva sino ad oltrepassare la linea di demarcazione fra
arte e vita" (Rescio).
All'opposto della strategia Fluxus che istituiva l'artisticità dell'evento banale, Porcelli proietta
l'oggetto d'uso (che è nel contempo - come nel caso del casco da motociclista incluso in "Great Circle",
1987 - residuo e simbolo dell'attualità) in una sfera "altra", investendolo con una smagliante iper
decorazione realizzata con brillantine di vetro od assoggettandolo ad una mutazione fantastica con l'intro
durvi una materia aliena che ne deborda in escrescenze inquietanti.
Il richiamo all'immaginario di massa immette in una griglia di rimandi linguistici incentrati, come nota Rescio
in catalogo, sulla riconsiderazione dell'esperienza pop, assunta come punto di partenza di un cammino che non
tende all'assunzione tel quel dell'oggetto od a mimare nell'iterazione dell'immagine la serialità
del processo produttivo, bensì ad una sua radicale ri-semantizzazione.
Un indirizzo, questo, che trova conferma anche nella ricerca condotta sulla dimensione della corporalità
con il body painting in cui la pittura - seconda pelle flagrantemente innaturale - diviene strumnento di
riappropriazione del corpo, definendolo al tempo stesso come "segno e misura dello spazio" (Sborgi).
s.r. (1988)