ANGELO PRETOLANI: AD CORPUS
Arbre aérien
In un dipinto fin-de-siècle di Xavier Mellery sono raffigurati due personaggi: l'uno simbolicamente sollevato dal suolo, con il braccio levato in direzione del sole; l'altro inarcato verso il basso, nell'atto di cogliere un fiore. Sullo sfondo una scritta (che costituisce, anche, il titolo del quadro): "L'art touche au Ciel et à la terre". Massima, questa, che - spogliata dell'aura esoterica di cui l'artista belga intendeva circondarla - tratteggia, seppur sommariamente, il nucleo tematico del lavoro di Angelo Pretolani, quale è andato delineandosi nel corso degli anni più recenti.
L'emergere - a fianco del consolidato impegno nel campo della performance - d'un interesse rivolto, in sintonia con l'esprit di temps, alla definizione d'un linguaggio espressivo complesso, capace d'incorporare (e d'innervare vicendevolmente) fluidità pittoriche e strutturazione plastica, ha spinto infatti Pretolani ad associare l'impiego di materiali grezzi, che rinviano alla sfera terrestre, all'elaborazione di un'immagine divenuta da magmatica e tumultuosa via via più distesa ed aerea.
Se il legno, combusto in superficie, delle tavole che impaginano le singole opere - talora in un chiuso contorno geometrico ma più spesso lungo un asse verticale, analogo all'elevarsi del tronco - induce l'idea di una materia in qualche modo pietrificata, i rami connessi (al modo di certe suppellettili primitive) a formare in'intelaiatura che sfrutta, con incurvature inattese e margini accidentati, le risorse dell'irregolarità naturale suscitano invece un'impressione di resistenza e leggerezza.
Pur disadorni e privi di linfa, questi intrecci non hanno la melanconica parvenza delle "nere trame" che segnano il novembre pascoliano (e che Mellery, ancora, in un acquarello di soggetto autunnale converte in un'enorme ragnatela). Possiedono, piuttosto, una tenacia che consente loro di trattenere e di dar forma alla nuvola, agli agglomerati atmosferici che la finzione pittorica fa sorgere sulla tela, in campiture d'un bianco traslucido, portato in superficie da un chiaroscuro profondo, qua e là venato d'oro.
È Charles Ploix a ricordare che "nella mitologia vedica … la calotta di nubi che avvolge la terra e l'offusca è simile ad un enorme vegetale". Ma nella pittura di Pretolani (nel suo spazio non mimetico, artificiale, giustapposto alla naturalità dei supporti) non è l'impenetrabilità del velo a predominare, né un mero gioco di trasparenze luminose. Vi prende campo, se mai, un'indifferenziata condizione primordiale, una vastità colta nel frammento, talvolta minimo, sottile, squarcio per cui si manifesta la figura, evocata da Valery, ne La Jeune Parque, dell'albero vaporoso, che disperde lieve nell'aria la maestà del suo profilo immateriale.
s.r. (1991)