GIOVANNI PROFUMO ALLA LOGGIA DELLA MERCANZIA
Ancora per pochi giorni è visitabile alla Loggia della Mercanzia, da poco riaperta, una consistente personale di Giovanni Profumo.
Vivo l'autore, annota Germano Beringheli nell'introduzione al catalogo delle opere esposte, "questa mostra doveva essere l'occasione, da lui progettata, per riflettere sul senso "spirituale" assunto dalle strutture cromatiche dei suoi quadri in un sistema formale luminoso, fattosi esplicitamente simbolico per sottigliezza e raffinatezza propositiva". La scomparsa dell'artista, avvenuta lo scorso anno, ha però giustamente conferito all'esposizione il carattere di una ricostruzione complessiva del suo percorso, dalle prove figurative degli anni '50, maturate nel clima del paesaggismo ligustico filtrato dalla lezione di Paolo Rodocanachi, che gli era stato maestro, alle prove ultime ove la ricerca luministica assume nell'estrema semplificazione dello schema compositivo e nella compressione del colore in un registro ristretto - giallo su giallo, un azzurro tenue su uno sfondo d'azzurro più carico, rosa su grigio - un tratto che rivolge la percezione ottica in contemplazione o addirittura in "esaltazione della metafisica bellezza".
Il trapasso dagli scorci di riviera, dove già si coglie un'atmosfera rattenuta, fuori dal tempo, e dai più vividi profili collinari agli essenziali impianti delle prove ultime si attua con intima coerenza, nel segno della riduzione di orizzonti e case, di rilievi montuosi e trame arboree, ad una radice geometrica che recupera, al di là delle diversità esteriori, l'unità del visibile. E, più ancora, nel segno della luce, che attraversa il colore rendendolo diafano, al limite dell'immateriale.
Della "lunga meditazione costruttiva" di Giovanni Profumo, del suo discutere "in uno spigoloso dialogo con sé stesso prospettive e spaziature, calcolate sino alla potenza enne del millimetro" dice Giorgio Calcagno in un testo composto per una mostra tenuta a Torino nel 1992. Dove nuovamente l'accento viene posto sulla "preoccupazione (da parte del pittore) di rastremare la luce".
"Ce ne deve essere poca" - scrive il poeta de "La tramontana di Ravecca" - "avara, sfuggita faticosamente all'ombra; e decisiva". Al punto di toccare, come s'è accennato, la sfera del simbolo, cui sembra rivolgersi anche quella stretta fenditura verticale attorno alla quale si dispongono i contorni rigorosi di quelli che, nonostante le parvenze astratte, il pittore continuava a considerare "paesaggi": un varco disagevole ma nitido che sembra voler dischiudere il quadro verso uno stato di consapevolezza ulteriore.
s.r. (1998)