Hozro: materiali sulle arti visive a Genova





 

DAVIDE MANSUETO RAGGIO

 

Verso la fine degli anni ’80, coloro che si inoltravano nei corridoi del padiglione dell’ex Ospedale Psichiatrico di Quarto dove aveva sede il Laboratorio di Arte-terapia, venivano improvvisamente a contatto con una sequenza di opere inquietanti, fatte di radici, di rami, piccole figure antropomorfe con braccia e gambe stecchite, d’impatto forte e immediato.  Erano le “Furie”, i personaggi di un mondo creato da Davide Mansueto Raggio, un anziano ospite della struttura (il ricovero risaliva al 1956), che dall’incontro con Claudio Costa, all’epoca fortemente impegnato nelle attività del Laboratorio, aveva tratto lo stimolo per passare dalle collezioni di conchiglie incollate e dagli innumerevoli cestini intrecciati nelle ore d’ozio ad un’attività immaginativa ed artistica sempre più estesa ed avvincente, iniziando un’avventura che lo ha occupato negli ultimi due decenni della sua esistenza,  conclusa ieri l’altro nella Casa Michelini, una residenza assistenziale in cui si era trasferito lasciando il vecchio manicomio.

Raggio era nato a Celesia - San Colombano Certenoli da una famiglia di contadini. Nel 1944, chiamato alle armi, viene fatto prigioniero e resta internato in un campo di prigionia. A questa esperienza di fame e di paura, risalgono probabilmente i disturbi psichici evidenziati nel primo dopoguerra, che si accentuano durante un periodo trascorso in Argentina con il fratello.

Nel 1950, coinvolto nei disordini che portano alla caduta di Peron viene ricoverato una prima volta in un manicomio giudiziario da cui il fratello riesce a farlo liberare soltanto un anno dopo. Tornato in Italia, manifesta sintomi sempre più accentuati d’instabilità psichica che lo portano ad un definitivo internamento a Quarto. Qui, si racconta, viveva la sua esclusione come distacco dal genere umano, rifiutando la carta d’identità e proclamando la sua appartenenza al Regno degli Animali.  Questo atteggiamento si rifletterà poi nel  lavoro creativo, in cui le figure - composte con sapiente manualità contadina – erano percepite come cose vive, esseri chiamati con nomi fantasiosi (Lungobacco, Cortecciadipinta, Uomo dal Tridente …), con cui l’autore intratteneva un vero e proprio dialogo.  

Anche i materiali che manipolava erano dotati di un’identità specifica: l’argilla, ad esempio, era il “Sasso Matto”, perché pur avendo la sembianza esteriore della pietra è soggetta a sfaldarsi con facilità. E con l’argilla, il carbone e la cenere, la polvere rossa di mattone, Raggio realizzava dipinti e bassorilievi animati dalla presenza di piccole figure, che dai materiali utilizzati raccoglievano un’energia primordiale.

Ancora vanno ricordati i lavori realizzati strappando lo strato superiore del cartone ondulato ed arricciandolo per creare mani e piedi di individui che sembrano voler superare il diaframma costituito dal supporto per entrare nel mondo.

L’originalità dell’opera di Raggio è stata rapidamente riconosciuta: dalle mostre tenute a Genova nel 1990 presso la Libreria Sileno di Mario e Carlo Romano e nel 1993 al Centro d’Arte La Maddalena di Nino Bernocco, presentate da  Mauro Bocci, Claudio Costa e Miriam Cristaldi ha ottenuto le credenziali per accedere a rassegne di respiro internazionale come “Figure dell’Anima” allestita a Pavia ed a Genova nel 1997 ed alla “Collection de l’Art Brut” di Losanna, forse la più celebre raccolta europea di arte irregolare.

Ma al di là della crescente considerazione per la sua opera, la riuscita artistica di Raggio - che Costa definiva “uomo … di legno antico, lavorato dal gelo, dalla memoria e da un tempo che si perde lontano” -  resta, come ha osservato Antonio Slavich, “un esempio di come una persona possa trarre profitto dalla sua sensibilità e dalla intelligenza del suo sguardo sul mondo che lo circonda, per riorganizzare, da solo, il suo mondo interiore”.          

                                                                                           

 





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