JUDY RIFKA FRA ARTE CLASSICA E POP
In quest'inizio di stagione, più torpido, forse, del consueto (alcuni spazi, fra cui lo Studio B2, ancora non hanno riaperto i battenti, mentre altri - come Locus Solus che per la terza volta in quattro anni ripresenta Remo Salvadori - ripetono percosi già noti), una proposta che ha il sapore della novità viene dalla galleria Cesarea che, in collaborazione con Alexander Brooke di New York e La Piramide di Firenze, allestisce la prima personale italiana di Judy Rifka.
Quarantaquattrenne, formatasi nell'ambiente newyorkese, la Rifka ha intrapreso attorno alla metà degli anni '70 un'attività espositiva che nel decennio seguente ha raggiunto una dimensione internazionale, arricchendosi di mostre in importanti sedi museali statunitensi e di significative tappe europee (personali a Parigi, alla Galerie de France, nel 1984; Londra alla Nicola Jacobs Gallery, 1983; Colonia, Annie Friehe Galerie, 1985 e 1986; Francoforte, Galerie Tobias Hirschmann, 1988) fra le quali figurava sino ad oggi soltanto una fugace apparizione italiana quattro anni or sono a Rimini, nel contesto di "Anniottanta".
Dopo un primo periodo di lavoro condotto sui neutri schemi geometrici del Minimalismo, l'artista americana è approdata sullo scorcio di questo decennio a quella "efficace soluzione spaziale di figure tratteggiate in modo rapido ed elegante e con grande abilità pittorica" (R. Daolio) che ancor oggi, unitamente ad una sofisticata prassi combinatoria, contraddistingue la sua opera.
Le tele e le carte esposte alla Cesarea palesano infatti entrambi codesti caratteri, e richiamano altresì, nell'evocare frammenti architettonici od il profilo d'una Nike, quel rapporto di fascinazione e insieme di conflitto, di memoria e d'ironia verso il mondo classico esemplificato nella serie di dipinti dedicati tempo fa' dall'artista al tema del Partenone e dell'Acropoli ateniese.
Se nella citazione d'immagini ormai sedimentate nella cultura di massa si poteva cogliere una traccia della lezione pop, non va sottaciuto che "mentre il Partenone di Lichtenstein è iperstilizzato, commerciale nella realizzazione, del tutto razionalistico nel suo humour uniformemente lubrificato ... i Partenoni della Rifka sono per contro garbatamente sovversivi, come fotocopie abusive di qualche prezioso manoscritto" (J. Masheck).
Oggi alla velocità ed alla spericolatezza esecutive che partecipavano "un sentimento del classicismo come fonte vivificante" sembra essersi sostituita una misura più elegante e meditata. L'impulsività del segno ha ceduto alla premeditazione della silhouette; il cromatismo vivace agli accostamenti sorvegliati di neri, grigi e bianchi. Ogni urgenza espressiva par essersi volatilizzata lasciando emergerea in propria vece una composta propensione ludica.
s.r. (1989)