STEFANIA ROSSI
Da qualche tempo si suole attribuire la qualifica di "visionaria" ad ogni esperienza pittorica, in specie figurativa, in cui possa intuirsi un'enfatizzazione (spesso identificata nella deformazione) della scena rappresentata, protesa allusivamente verso un senso che la travalichi.
È dubbio che l'excessus mentis caratteristico della visione, il suo approdo estatico, il parossismo delle facoltà che genera una realtà illusoria (o, a seconda dei punti di vista, che consente la comunicazione con una realtà di natura differente) siano divenuti a tal punto accessibili e diffusi.
Più realistico è pensare (come d'altronde si è affermato implicitamente, in esordio) ad un'abusiva dilatazione del termine, intesa a ricomprendervi genericamente ogni forma di rappresentazione inusuale.
Così nel caso di Stefania Rossi, cui pure - assai più che ad altri - la definizione converrebbe, per il vigore espressivo dell'immagine, per gli aspetti archetipici efficacemente compresi nell'associazione della figura umana ad elementi primordiali (acqua, aria, fuoco), è preferibile attenersi per distinguerne l'operazione alla formula mauroniana della "metafora ossessiva", avvalorata dalle numerose varianti del tema del "nuotatore" (ora fanciullo, ora adulto; ora sommerso, ora in superficie, in una gamma di significazioni attinenti alla nascita ed all'attraversamento dell'esistenza) almeno quanto dalla figura femminile che esce da o si converte in fiamma.
Sotto un profilo più squisitamente formale, di notevole interesse appare l'utilizzazione pittorica di elementi plastici rinvenuti casualmente, inglobati nell'opera secondo una logica funzionale, del tutto in antitesi con gli obiettivi stranianti perseguiti dagli artisti dada o con quelli simbolici individuati dai surrealisti.
s.r. (1987)