Hozro: materiali sugli artisti liguri






Godless I
(il sudario di Vincent)
Museo Attivo delle Forme Inconsapevoli
ex Ospedale Psichiatrico di Quarto
Genova 
1992




ROBERTO ROSSINI

 

È sempre difficile stabilire quali siano i termini più appropriati per parlare della performance art, e comunque se ne parli si avverte una certa misura di corruzione che intacca alla fine ciò che nel discorso sembra assodato.

Cerimonia, quadro vivente, minimizzazione del teatro, evento gestuale, scenetta comica, insieme di mosse significative o di enigmatici immobilismi, tutto le è intrinseco e nulla la spiega.

A qualsiasi altro fenomeno artistico sia collegata, essa ha cominciato ad ottenere evidenza "di genere" nell'ambito delle esperienze e della cultura degli artisti visivi, delle gallerie d'arte e dei musei.

Ciò le ha fruttato l'assimilazione - da quando non si parla più soltanto di pittura e scultura - a un tipo di storia assai confusa nella quale non contribuisce di certo a portar chiarezza. Stenta, nonostante tutto, a conseguire una propria autonomia. C'è anche da valutare come potrebbe sopravvivere se autonoma fosse.

Non mi sembra tuttavia che gli artisti che vi si dedicano mettano questo problema in cima alle loro preoccupazioni. Ciò che il mondo delle arti visive offre basta e avanza. Se si è fortunati, non manca per altro di gratificazioni. Meno ancora mi pare che l'annessione della performance art alla storia delle arti visive crei problemi particolari nell'autore delle pagine che seguono, entro le quali non ho trovato alcun senso di mortificazione per la mancata autarchia del genere né sono incappato in avventurosi proponimenti "intermediali" volti a corroborare l'idea di un'arte "ultima" e "totale".

Vi ho colto viceversa un senso tutto esistenziale, riconducibile all'esperienza dell'atto in sé, difficile da storicizzare e, di fatto, irriproducibile, benché si proponga come "rito".

Mi rendo conto che questo possa sembrare lo stesso punto di partenza dei "classici" del genere - da Kaprow ad Acconci all'Abramovic - ma non ne sono convinto. È evidente come il rapporto fra "atto" e "premeditazione" sia lo stesso, ciò nondimeno quel che Rossini cerca di spiegare nel suo saggio sfugge a una linea propria del fare artistico, néin fin dei conti avvalora una tesi che affermi la riconoscibilità stilistica del suo operato.

Ciò è doppiamente curioso se si pensa che egli, come tanti altri, proviene - e a quanto mi risulta vi è ancora attivo - dall'ambito della pittura e svolge normalmente la professione di grafico. Nel testo, lo stesso sfoggio di "teoria" arrischia la condizione di postilla ai propri cimenti piuttosto di ventilare una lusinghiera maniera artistica.

Che Rossini si rifaccia ad Artaud mi è parso secondario. O meglio, non sono gli elementi di sconcerto legati al nome dello scrittore a prevalere quanto, piuttosto, la sua onestà.

 

Carlo Romano

 

 

Lo scopo di questi appunti è quello di restituire una visione personale delle azioni artistiche comunemente chiamate performance, attraverso la riflessione su di una lunga esperienza di ricerca che si è necessariamente confrontata con le avanguardie artistico-visive, la sfera antropologica, il teatro sperimentale e le scienze psico-sociali.

Il discorso sull'argomento si presenta rischioso in partenza: l'onnicomprensività che il termine ha assunto, anche nel parlare quotidiano, e l'ambiguità che gli ultimi venti anni di 'spettacolarizzazione' della società hanno introdotto nei linguaggi critici, rendono difficile stabilire confini certi al campo delle performance.

Così anche questa riflessione procederà necessariamente raccogliendo tracce e frammenti, per tentare di individuare, all'interno di questi, l’essenza dellinguaggio performativo.

Sono sempre stato interessato all'aspetto 'vivo' della performance, quello più sinceramente legato ad una pratica fondamentalmente liberatoria, antagonista e libertaria, cosciente che, come sostiene Walter Benjamin, l'opera d'arte perde la sua aura magico sacra le nel momento in cui diventa 'oggetto riproducibile', negandosi, o venendogli negato, quel ruolo di linguaggio-transfert che ne ha caratterizzato il divenire, prima al servizio della magia, poi della religione, infine del potere temporale, sacrificandosi come segnooggetto simulacrale nell'ambito di una generale economia politica del segno.'

Già Artaud, uno dei miei principali punti di riferimento - come, credo, di tutta la ricerca performativa - ipotizza, per le sue visioni teatrali lontane dallo spettacolo, quegli elementi 'sottili' che le rendono i cerimoniali contemporanei per eccellenza e che scopre nelle realizzazioni del teatro Balinese.

Azioni dove non vi è attore, ma una figura - in qualche modo sfumata - di restauratore magico-sacrale, un 'attante' che lavora con gli strumenti dell'essere e del fare.'

È all'interno di questo tipo di tensioni e di problematiche che ho cercato, già dai primi lavori, di proporre il mio 'comportamento' artistico come un termometro per misurare e misurarsi con un divenire processuale che procede per traumi, per scarti, quasi per mancamenti, sensibile alle variazioni umorali di questa civiltà oramai globalizzata.

In un certo senso affermando il principio esistenziale secondo cui la qualità della comunicazione dipende dalla qualità dell'essere, dal momento che ciò che esiste non è tanto l'"essere" in sé, ma un "esser-ci", come puntualizza Heidegger, e che "si è quel che si fa", come sostiene Sartre.

In altre parole credo che il performer non sia tanto il creatore di un'opera d'arte, ma il ricercatore di un congiungimento tra essere e fare, congiungi mento che è dato da un complesso di relazioni meta linguistiche che hanno forti analogie con le strutture del rito e del gioco.

Per questo nelle mie azioni e nei miei progetti è presente l'aspetto aleatorio, attraverso il quale l'evento artistico si sviluppa come libera associazione di gesti, rompendo il binomio causa-effetto, promuovendo nel corpo sociale l'irruzione di elementi non economici e a-funzionali, disinteressati, con l'unica finalità di portare alla superficie zone rimosse, appartenenti all'inconscio.

(…)

 

Roberto Rossini

da Psicomagia dell’atto performativo

 

 

ROBERTO ROSSINI è nato a Genova.

I suoi lavori si configurano come 'eventi' che trattano della separazione tra i sensi e gli strumenti della conoscenza (percezione, ricettività, presenza). Attraverso la pratica di azioni e tecniche orientate a una ricerca 'psico-corporea' e 'transmediale' sono nati i progetti di performances e installazioni video-sonore realizzati spesso in spazi 'atipici' come garages, spazi industriali, ex ospedali psichiatrici, luoghi di culto, miniere, lavatoi pubblici. E' stato tra i fondatori del Centro UH! e ha partecipato alla realizzazione di tutte le performances del gruppo. Ha realizzato trasmissioni sperimentali di drammaturgia radiofonica per conto della RAI e interventi di videoarte. Svolge attività di sperimentazione sulla comunicazione visiva, collabora con riviste d'arte e di immagine ed è docente all'Istituto Europeo di Design di Milano. È tra i promotori di Albedo, Associazione Culturale per l'Immaginazione Attiva.

 

 

I testi che precedono sono tratti dal catalogo

“Roberto Rossini. Ontheground”

Edizioni Albedo, Milano 2005

 e vengono riproposti con il consenso degli autori

 



Godless II
(jugement de dieu)
Rassegna On se dit
Espace Magnan
Nice, France
2003




HOME PAGE

ARCHIVIO ARTISTI

MOSTRE A GENOVA