ROBERTO ROSSINI
È sempre difficile stabilire quali siano i termini più appropriati per parlare della performance art, e comunque se ne parli
si avverte una certa misura di corruzione che intacca alla fine ciò che nel
discorso sembra assodato.
Cerimonia, quadro vivente,
minimizzazione del teatro, evento gestuale, scenetta comica, insieme di mosse significative o di enigmatici immobilismi, tutto le è
intrinseco e nulla la spiega.
A qualsiasi altro fenomeno artistico
sia collegata, essa ha cominciato ad ottenere evidenza
"di genere" nell'ambito delle esperienze e della cultura degli
artisti visivi, delle gallerie d'arte e dei musei.
Ciò le ha fruttato l'assimilazione -
da quando non si parla più soltanto di pittura e
scultura - a un tipo di storia assai confusa nella quale non contribuisce di
certo a portar chiarezza. Stenta, nonostante tutto, a conseguire una propria
autonomia. C'è anche da valutare come potrebbe sopravvivere se autonoma fosse.
Non mi sembra tuttavia che gli
artisti che vi si dedicano mettano questo problema in cima alle loro
preoccupazioni. Ciò che il mondo delle arti visive offre basta
e avanza. Se si è fortunati, non manca per
altro di gratificazioni. Meno ancora mi pare che l'annessione della performance
art alla storia delle arti visive crei problemi particolari nell'autore delle
pagine che seguono, entro le quali non ho trovato
alcun senso di mortificazione per la mancata autarchia del genere né sono
incappato in avventurosi proponimenti "intermediali" volti a
corroborare l'idea di un'arte "ultima" e "totale".
Vi ho colto viceversa un senso tutto
esistenziale, riconducibile all'esperienza dell'atto in sé, difficile da
storicizzare e, di fatto, irriproducibile, benché si proponga
come "rito".
Mi rendo conto che questo possa sembrare lo stesso punto di partenza dei
"classici" del genere - da Kaprow ad Acconci all'Abramovic - ma non
ne sono convinto. È evidente come il rapporto fra "atto" e
"premeditazione" sia lo stesso, ciò nondimeno quel che Rossini cerca
di spiegare nel suo saggio sfugge a una linea propria
del fare artistico, néin fin dei conti avvalora una tesi che affermi la
riconoscibilità stilistica del suo operato.
Ciò è doppiamente curioso se si
pensa che egli, come tanti altri, proviene - e a quanto mi risulta
vi è ancora attivo - dall'ambito della pittura e svolge normalmente la
professione di grafico. Nel testo, lo stesso sfoggio di "teoria"
arrischia la condizione di postilla ai propri cimenti piuttosto di ventilare
una lusinghiera maniera artistica.
Che Rossini si rifaccia
ad Artaud mi è parso secondario. O meglio, non sono
gli elementi di sconcerto legati al nome dello scrittore a prevalere quanto,
piuttosto, la sua onestà.
Carlo Romano
Lo scopo di questi appunti è quello
di restituire una visione personale delle azioni artistiche comunemente
chiamate performance, attraverso la riflessione su di una lunga esperienza di
ricerca che si è necessariamente confrontata con le
avanguardie artistico-visive, la sfera antropologica, il teatro
sperimentale e le scienze psico-sociali.
Il discorso sull'argomento si
presenta rischioso in partenza: l'onnicomprensività che il termine ha assunto,
anche nel parlare quotidiano, e l'ambiguità che gli ultimi venti anni di
'spettacolarizzazione' della società hanno introdotto
nei linguaggi critici, rendono difficile stabilire confini certi al campo delle
performance.
Così anche questa riflessione
procederà necessariamente raccogliendo tracce e frammenti, per tentare di individuare,
all'interno di questi, l’essenza dellinguaggio performativo.
Sono sempre stato interessato
all'aspetto 'vivo' della performance, quello più sinceramente legato ad una
pratica fondamentalmente liberatoria, antagonista e libertaria, cosciente che,
come sostiene Walter Benjamin, l'opera d'arte perde la sua
aura magico sacra le nel momento in cui diventa 'oggetto riproducibile',
negandosi, o venendogli negato, quel ruolo di linguaggio-transfert che ne ha
caratterizzato il divenire, prima al servizio della magia, poi della religione,
infine del potere temporale, sacrificandosi come segnooggetto simulacrale
nell'ambito di una generale economia politica del segno.'
Già Artaud, uno dei miei principali
punti di riferimento - come, credo, di tutta la ricerca performativa -
ipotizza, per le sue visioni teatrali lontane dallo spettacolo, quegli elementi
'sottili' che le rendono i cerimoniali contemporanei per eccellenza e che
scopre nelle realizzazioni del teatro Balinese.
Azioni dove non vi è attore, ma una figura
- in qualche modo sfumata - di restauratore magico-sacrale, un 'attante' che
lavora con gli strumenti dell'essere e del fare.'
È all'interno di questo tipo di
tensioni e di problematiche che ho cercato, già dai primi lavori, di proporre
il mio 'comportamento' artistico come un termometro per misurare e misurarsi con un divenire processuale che procede per
traumi, per scarti, quasi per mancamenti, sensibile alle variazioni umorali di
questa civiltà oramai globalizzata.
In un certo senso affermando il
principio esistenziale secondo cui la qualità della comunicazione dipende dalla
qualità dell'essere, dal momento che ciò che esiste
non è tanto l'"essere" in sé, ma un "esser-ci", come
puntualizza Heidegger, e che "si è quel che si fa", come sostiene
Sartre.
In altre parole credo che il
performer non sia tanto il creatore di un'opera d'arte, ma il ricercatore di un
congiungimento tra essere e fare, congiungi mento che è dato da un complesso di
relazioni meta linguistiche che hanno forti analogie
con le strutture del rito e del gioco.
Per questo nelle mie azioni e nei
miei progetti è presente l'aspetto aleatorio, attraverso il quale l'evento
artistico si sviluppa come libera associazione di gesti, rompendo il binomio causa-effetto, promuovendo nel corpo sociale
l'irruzione di elementi non economici e a-funzionali, disinteressati, con
l'unica finalità di portare alla superficie zone rimosse, appartenenti
all'inconscio.
(…)
Roberto Rossini
da Psicomagia
dell’atto performativo
ROBERTO ROSSINI è nato a Genova.
I suoi lavori si configurano come
'eventi' che trattano della separazione tra i sensi e gli strumenti della
conoscenza (percezione, ricettività, presenza). Attraverso la pratica di azioni e tecniche orientate a una ricerca 'psico-corporea'
e 'transmediale' sono nati i progetti di performances e installazioni
video-sonore realizzati spesso in spazi 'atipici' come garages, spazi
industriali, ex ospedali psichiatrici, luoghi di culto, miniere, lavatoi
pubblici. E' stato tra i fondatori del Centro UH! e ha
partecipato alla realizzazione di tutte le performances del gruppo. Ha
realizzato trasmissioni sperimentali di drammaturgia radiofonica per conto della RAI e interventi di videoarte. Svolge attività di
sperimentazione sulla comunicazione visiva, collabora con riviste d'arte e di immagine ed è docente all'Istituto Europeo di Design di
Milano. È tra i promotori di Albedo, Associazione
Culturale per l'Immaginazione Attiva.
I testi che precedono sono tratti
dal catalogo
“Roberto Rossini. Ontheground”
Edizioni Albedo, Milano 2005
e vengono riproposti
con il consenso degli autori