Hozro: materiali sulle arti visive a Genova





IL RITORNO DI RUBALDO MERELLO

Resistibile o meno, l'ascesa del divisionismo di marca genovese si protrae. E ostenta un'accelerazione del tutto inattesa, benchè non esente da qualche polemica del genere di quella divampata sul principio dell'estate scorsa a proposito del formato e della collocazione delle opere dei maestri liguri incluse nella grande rassegna dedicata al "Divisionismo italiano" dal Museo d'Arte Moderna e Contemporanea di Trento e Rovereto. Ma proprio questa mostra si è assunta il compito di omologare, per la prima volta ad un così alto livello, l'ipotesi d'una sorta di "corrente" nostrana entro il più vasto ambito (accreditato in precedenza soltanto d'articolazioni lombarde, piemontesi e romane) delle pittura che all'impasto cromatico eseguito sulla tavolozza sostituiva lo stimolo artificiale del "miscuglio ottico" ottenuto accostando sulla tela tratti di colore puro, ribadendo contemporaneamente l'assoluta autonomia della ricerca italiana dai (quasi) contemporanei paradigmi identificati oltr'alpe nelle figure di Seurat e Signac.
Certo l'approfondimento - per merito soprattutto di Annie-Paule Quinsac - degli studi avviati oltre vent'anni or sono dalla pubblicazione delle testimonianze epistolari e dell'iconografia raccolta negli "Archivi del Divisionismo", introdotti da un memorabile saggio di Fortunato Bellonzi, ha allargato notevolmente la prospettiva assunta dalla prima importante esposizione nazionale sul tema, la "Mostra del Divisionismo Italiano", tenutasi nel marzo 1970 alla Permanente di Milano, consentendo l'inserimento a pieno titolo di personaggi ed esperienze dapprima rimaste confuse nello sfondo.
Entrano così in scena Discovolo e Guerello, Canegallo e Geranzani accanto ai nomi canonici di Nomellini (il cui soggiorno genovese fra il 1890 ed il 1902 risulta fondamentale per il radicamento in zona del nuovo linguaggio figurativo), Cominetti ed a colui che - anche in senso esistenziale - si profila come l'autentico antieroe della seconda stagione divisionista: Rubaldo Merello.
Mentre nella cerchia romana artisti come Balla e, dopo di lui, Severini e Boccioni si dedicavano a tematiche urbane (con dipinti del genere di "Fallimento", 1902, o "La giornata dell'operaio", 1904) destinate ad aver parte non marginali nella successiva fase futurista (ad esempio nel boccioniano "La città che sale" del 1910/11), Merello batteva controcorrente - aggirando i tratti "Belle-Epoque" che traspirano, ad esempio, dai quadri coevi di Innocenti o Lionne ed il secessionismo d'un Chini - la via d'una sua autonoma visione del paesaggio, cercando in solitudine, fra le balze del promontorio di Portofino una verità pittorica irriducibile alla maniera.
Uscito dai corsi dell'Accademia Ligustica, da una pratica di scultura a tratti ripresa (sua è una statua effigiante "Il Dolore" eseguita nel 1919 e collocata nel cimitero di Camogli), dalla frequentazione degli ambienti più avanzati della cultura genovese a cavallo fra Ottocento e Novecento, Merello s'era avvicinato alla tecnica divisionista attraverso la mediazione di artisti come Nomellini e Pellizza, presenti entrambi alle Promotrici cittadine dell'epoca.
Trasferitosi nel 1904 a Ruta (e quindi, nel 1906, a San Fruttuoso di Camogli, ove dimorerà per otto anni, abitando - anche - il medievale torrione dei Doria) inizia un viaggio esclusivo attraverso lo scenario "muto e rovinoso incontro all'alto mare" che Ceccardo Roccatagliata aveva descritto anni prima nelle "Lettere di crociera" (1898) già individuandovi il tema del "pino radicatosi in una vena d'un masso" che "penzola, dondolando al vento" mentre "qualche ciuffo d'erba da far sagole si allunga verdeggiando in lunghi capelli" e, in basso, "è un fondo di coppa dall'acqua di smeraldo, che si allunga in due o tre calanche silenziose ... tra i massi di puddinga che si distendono in ripidi dorsi a semicerchio, come un orlo sul vano del cielo".
Qui Merello, senza del tutto isolarsi dagli ambienti artistici (posto in contatto da Paolo De Gaufridy, il più sensibile critico genovese di quegli anni, con il mercante d'arte milanese Alberto Grubicy, trova un avallo europeo esponendo nel 1907 al "Salon des peintres divisionnistes italiens" oltre che, regolarmente, alle rassegne annuale della Promotrice) vive la "ricostituzione del mito come momento aurorale di un'intuizione rigenerata del mondo" (G.F. Bruno), traducendo la sua esperienza in una sorta di "follia cromatica", in cui - come notava Cesare Brandi in un articolo risalente al 1956 - "un giallo non chiama più il suo azzurro, ma s'incontra in un rosa corallo, e le ombre e i riflessi del mare incitano dei colori strani a posarsi, come uccelli di passo".

Oggi, a vent'anni dall'ultima grande antologica, uno fra i suoi più attenti studiosi, Gianfranco Bruno ne ripropone l'opera nelle sale dell'Accademia Ligustica, allestendo - grazie anche ad uno sponsor di prestigio qual è la Boero Colori ed al contributo della Bavaria Assicurazioni - una mostra di completezza senza precedenti, che comprende oltre novanta dipinti ed una cinquantina di opere grafiche (nel cui ambito viene meglio a palesarsi la componente simbolista coesistente in Merello alla vocazione paesistica).

I numerosi inediti - fra i quali si possono annoverare i lavori esposti per l'ultima volta nel 1926, in occasione delle rassegne svoltesi presso la Galleria Pesaro di Milano, ove Merello era significativamente accostato a Carrà e De Chirico, ed a Palazzo Bianco - consentono di approfondire la conoscenza degli esordi dell'artista, grazie a dipinto come "Scogli" ed a "Paesaggio 1898", quest'ultimo già frutto di una matura elaborazione stilistica in cui s'avverte (nelle "pennellate a filamento") la memoria della lezione di Segantini.

Ma, soprattutto, il nuovo materiale acquisito avvalora l'ipotesi critica d'un Merello capace di sormontare i tratti d'un linguaggio pittorico giunto ormai ad una fase epigonale per trovare (come attesta la bellissima serie dei "giardini con glicini", realizzata intorno agli anni 1917/18) in una intensità di sentire che riscatta e trasfigura - non già in direzione fantastica bensì puramente poetica - il tema naturale, la chiave d'accesso ad un'esperienza che, per quanto isolata, si dimostra tutt'altro che marginale nell'arte italiana del nostro secolo.

s.r. (1990)





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