LUIGI RUSSO: NEL SOGNO LA MEMORIA DELLA REALTA'
Dopo l'esplosione in qualche modo rivolta all'indietro degli anni '80,
contraddistinti dalla ripresa sgargiante, ma priva della vitalità originaria, di modalità
espressive e di varianti stilistiche d'inizio '900, la pittura sembra - oggi - lasciarsi
risucchiare nel processo opposto, appiattendosi in una sorta di mimetismo dell'immagine
fotografica e/o digitale.
Se in questo fenomeno si può riconoscere una nuova manifestazione della naturale flessibilità
di una tecnica che si è rivelata capace di attraversare i secoli e persino i millenni senza
cadere nell'obsolescenza, anticipando talvolta, attraverso rivolgimenti nelle forme e nelle
strutture della rappresentazione, trasformazioni epocali, non è d'altro canto ingiustificato
supporvi un'acquiescenza troppo facile a quelli che Umberto Eco ha chiamato "i complotti
impercettibili dello Zeitgeist", una sorta di recepimento del fascino ambiguo delle immagini
costruite negli ambiti della grafica pubblicitaria e della moda, non compensato da possibilità
di contaminazioni fruttuose o riscattato dalla capacità, invocata da Gabriele Perretta, di
realizzare opere in grado "di attraversare tutti i media possibili".
Una mostra come "Ricomincio da otto", recentemente allestita da Maurizio Sciaccaluga nel nuovo
spazio di Guidi & Schoen, benché volta nelle intenzioni proprio a sottolineare il riemergere di
una vena pittorica celata nell'ultimo decennio dalla voga concettuale, appare significativa in
questo senso. Al di là delle differenti scelte che hanno indotto i singoli artisti in rassegna
a preferire "la grafite, l'olio o il mouse; la pennellata piena e calda, il distacco contenuto
o il tocco freddo e sopraffino; il glamour, il feticismo o la rivisitazione del novecento",
risulta evidente nei collages d'impronta digitale di Matteo Basilé, come nei debordanti volti da
copertina di Debora Hirsch e nei nudi freddi di Dany Vescovi, la scelta (e addirittura l'emulazione)
di schemi compositivi tipicamente fotografici.
A richiamarci specificamente alla pittura, ad una pittura "dura", senza compromessi, quasi gridata
nel colore e tesa nella composizione sino a deformare lo spazio, è invece la mostra allestita da
Luigi Russo allo Studio Ghiglione. Un esordio già maturo, che riunisce un nucleo di lavori in
cui un'esigenza di confronto con il reale sembra innestarsi produttivamente sulle suggestioni di
matrice surrealista, palesi nelle prove antecedenti ed ancora avvertibili nei residui antropomorfici
che connotano le suppellettili raffigurate.
Evidenziato dal titolo stesso della mostra ("nel sogno, la memoria della realtà"), un simile
intreccio spinge l'artista a delineare, su tele di grande formato, ambienti per lo più affollati
da oggetti inquietanti, quando non marcatamente aggressivi, che si caratterizzano strutturalmente
per il loro diramarsi all'estremo nello spazio, tenuti assieme dalla saldezza dei contorni e da una
esasperata accensione cromatica.
Il nesso così stabilito fra l'intensità del colore, l'articolazione compositiva cui s'è fatto
cenno e la scelta degli elementi effigiati (attrezzi ginnici, dispositivi d'illuminazione e
altri macchinari) dà luogo ad una originale cifra tecno-fauve, coinvolgente nei suoi tratti
d'immediatezza benché portatrice di significati complessi. Capace soprattutto di porsi - come nota
Germano Beringheli nel catalogo che affianca l'esposizione - "come il luogo rappresentativo e
radicale di quel mondo umano e tecnologico che appartiene al quotidiano dell'artista" e di
accogliere al tempo stesso "l'irruzione di una soggettività profonda e prospettica, laddove per
prospettiva si intenda il momento fermo del passaggio fra interno ed esterno nel senso dell'universo
immaginario e provocatorio prodotto dall'opera".
s.r. (aprile 2002)