Hozro: materiali sugli artisti liguri





ETTORE SARDO

"Aura metafisica" e "impegno conoscitivo verso la realtà": nella tensione tra questi due poli - segnalati da Vico Faggi in un testo del 1974, ma già avvertiti sul piano stilistico da Giorgio Seveso, che accennava ad una "discontinuità apparente" fra "l'espressionismo tormentoso che agita alcuni personaggi" e "altre tele di un silenzio livido e felpato" - si definisce l'ambito della poetica di Ettore Sardo.
Una poetica che l'artista fonda, in origine, non sul visibile o sull'immaginario, ma su un registro esistenziale, parlando con discrezione del "dovere" di "descrivere il più onestamente possibile la pagina che stiamo vivendo", lacerata dalle contraddizioni del sociale ed immobilizzata anche nei suoi risvolti interiori "da ricordi lontani e speranze fuggevoli ... quasi monumento di un'aridità ottusa e compiacente".
Si coglie, in questa dichiarazione, una rispondenza alle sollecitazioni provenienti da quei settori della cultura artistica, non solo italiana, che più coerentemente hanno affrontato i temi della rappresentazione della condizione umana, particolarmente vivi a Milano, ove Sardo lavora, nei gruppi appartenenti all'area del realismo critico e della Nuova Figurazione.
Nelle opere dei tardi anni '60 la centralità della figura è affermata con determinazione, come radicamento nel vissuto, secondo quanto annotava allora Luciano Bianciardi: "Sono gli uomini nella sua pittura, la cosa che conta di più. Mi pare di aver capito che nella sua pittura la figura umana sia sempre cercata, rovistata, frugata dentro, circondata di colori, sconvolta e rifatta piano su piano...".
Nel successivo decennio pare accentuarsi quella connotazione "metafisica" cui si accennava in esordio. Se ancora in opere come Morte d'un amico, un ritratto di Bianciardi, scomparso nel 1971, o Interno con maschere (1973), la presenza umana, benché inserita in un'atmosfera di sospensione temporale, pervade il quadro, pi spersonalizzanti risultano le soluzioni adottate in Telefono ed in Uomo che gioca (anch'essi del 1973), ove il personaggio è fuori campo o nascosto mentre campeggia l'oggetto, effigiato con una precisione e ed una freddezza metallica apparentabili a quelle esibite nei coevi lavori di Peter Klasen.
In un altro dipinto del medesimo periodo, Spiaggia, è addirittura la scena, scandita dalle campiture orizzontali sovrapposte della riva, del mare e del cielo a predominare sui personaggi che assumono "le sfaccettate corposità di anonimi manichini" (Seveso).
A partire da queste istanze, lungo gli anni '80, la pittura di Sardo assume una cadenza più marcatamente visionaria. In uno dei lavori appartenenti alla sequenza dei Poeti, ad esempio, la figura si staglia, cromaticamente dissonante, in toni bianchi e grigi, su uno sfondo ove la cornice naturale svaria in una quinta architettonica, attraversata da un baleno di luce. Un indirizzo che si conferma nei lavori più recenti di cui Germano Beringheli scrive: "Di fatto se le riassunzioni di una certa iconografia visionaria riparlano le oscure ombre di una silenziosa e immobile sostanza (...), nelle opere di Sardo la sospensione, l'atmosfera dicono quel tacito e straziante perturbamento che la letteratura e le filosofie contemporanee hanno avanzato nella padronanza dei sensi e dei sentimenti".

s.r. (1995)





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