Hozro: materiali sulle arti visive a Genova





GENOVA RICORDA EMILIO SCANAVINO

A poco meno di un anno dalla scomparsa, si è aperta al Museo d'arte contemporanea di Villa Croce una vasta retrospettiva dell'opera di Emilio Scanavino, uno dei rari artisti che - grazie all'intensità propositiva della loro ricerca pittorica (oltre che mediante un'effettiva mobilità, all'epoca indispensabile) - abbiano saputo sormontare la marginalità culturale di una città, Genova, cui le vicende storico-economiche sembrano aver sottratto il rango di metropoli, che tuttora peraltro ne pervade intimamente lo spirito.
La mostra, curata da Giovanni Maria Accame, ricostruisce il percorso dell'artista fra il 1951 ed il 1986, con la sola eccezione - probabilmente dovuta ad esigenze di compattezza - dell'iniziale momento figurativo, l'intero sviluppo. Se la documentazione delle ricerche marcate da influenze post-cubiste od improntate ad un astrattismo di matrice kleeiana appare giustamente limitata, più ampia - forse - poteva auspicarsi la testimonianza del lavoro condotto su un versante materico memore dell'esperienza di Fautrier attorno al '54; perspicua e di qualità spesso miracolosa è comunque la presenza dei dipinti eseguiti nella seconda metà di quel decennio, nei quali l'esercizio nervoso del segno aggrovigliato ("intreccio fisico quanto psichico") in uno spazio azzerato dalla monocromia grigia perviene, in virtù di una velocità graffiante, ad una lacerazione della campitura, dando luogo ad un'operazione parallela a quella compiuta in quei medesimi anni da Lucio Fontana - ma, a differenza di questa, protesa con i "tagli" e i "buchi" ad un diretto oltrepassamento della tela - praticata nell'ambito di una rigorosa virtualità pittorica.
Già affiorante in quest'opera (ne costituisce un esempio "Alfabeto senza fine" del 1957) segnata da un precipitare dell'evento, un'opposta esigenza strutturale (che assume talora una connotazione propriamente architettonica) si delinea con sempre maggior chiarezza - nel quadro - a partire dal 1964, inclinando talora l'"immagine scandita", nonostante la saldezza della composizione, verso la cifra stilistica ma sovvertendo in altri casi (per tutti valga l'esempio de "la colatura", 1969) l'apparenza calligrafica in "complessità concettuale", capace di trarre "dal silenzio del pensiero ... un'evocazione, l'evocazione estrema" (Accame).
A supporto della mostra, completata da una sezione dedicata ai disegni, in cui l'inventività dell'artista si manifesta allo stato puro, e da talune sculture, l'editrice Mazzotta pubblica un catalogo che alle numerose riproduzioni in bianco e nero affianca una breve raccolta di scritti di Scanavino, una densa rassegna critica, nonché i saggi di Guido Giubbini e del curatore.

s.r. (1987)



EMILIO SCANAVINO

Disegni inediti

Della centralità del disegno nell'ambito della sua opera - tesa a registrare "apparizioni del pensiero" colte in "uno stato intermediario, che non è pensiero individuale nè il pensiero assoluto" (Jouffroy) - è lo stesso Scanavino a testimoniare. "Sono un pittore del disegno più che del colore ed il nero è l'unico che possa restituirmi il segno e, insieme, un po' di magia. Il rosso è solo una variante del nero. Lo so, ho pochi colori da offrire. Posso soltanto cercare di fermare questo buio che avanza", leggiamo in una delle dichiarazioni di poetica raccolte da Giovanni Maria Accame nel volume dedicato ai "Disegni e scritti inediti" dell'artista apparso per i tipi dell'editore Lubrina nel 1990.
Nella concisa ma penetrante rassegna allestita presso lo Studio B2 si coglie, in filigrana, il percorso dell'autore attraverso gli anni '50 e '60: a partire da lavori costruiti ancora secondo canoni postcubisti, ove i contorni marcati definiscono ancora forme conchiuse, benché intrecciate e sovrapposte, per trascorrere quindi all'andamento esplosivo d'una carta del '53, che nel diramarsi irregolare delle macchie d'inchiostro attorno ad un punto eccentrico rinvia all'immagine radiante di "Nascenza" (1953), uno degli esiti maggiori dell'artista genovese, sino alla connotazione piu' divulgata del segno appuntito e ritorto che sembra incidere la cortina grigia del fondo, documentata in pezzi datati fra il 1956 ed il '59.
Di qui, da queste superfici scalfite, striate, la mostra procede esibendo, in una sequenza di opere eseguite nel successivo decennio, la svolta verso un'articolazione compositiva antinomica, in cui la libertà della traccia segnica entra in rapporto con scansioni geometriche elementari, con rappresentazioni volumetriche esatte: "gabbie che costringono nell'angusto loro spazio i gomitoli dell'energia psichica" (Di Genova) e, insieme, preannunzio di quelle nitide "tramature" che caratterizzano l'ultima produzione dell'autore.

s.r. (1993)





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