BEPPE SCHIAVETTA
Strano a dirsi, il segno non ha qui nulla di gestuale (non si dà come traccia d'un gesto, non intende significare una condizione psicologica), nulla di calligrafico; non rinvia ad alfabeti indecifrabili. E', piuttosto, con l'impatto fisico che ciò implica, gomitolo sdipanato di colore, filo (talora metallico) che s'introduce nello spazio del quadro. Apparizioni geometriche (triangoli, quadrati) ne attraversano, impronte di archetipi remoti, il campo. I supporti (legni, tele) permutano la materialità loro propria con una più stemperata parvenza.
Non so in quali proporzioni memoria e immaginario si mescolino in questi lavori. Di certo v'è uno scorrere conforme a natura, una bizzarra innocenza, il perseguimento dell'attimo di arrestare perché bello.
A questo si riporta l'atemporalità che avvolge l'opera, concepita come scenario, capace d'animarsi d'eventi imprevedibili. Di sorprendere, nel volume d'una piramide, un giardino, un eden sagomato come per gioco sotto il lume fittizio d'una stella.
s.r. (1985)
Sfuggire alla determinazione di un lavoro divenuto troppo agevolmente prefigurabile, sebbene ancora non ovvio, è indice di una coscienza artistica avvertita, che ricerca al suo interno la forza propulsiva necessaria a prevenire - e sormontare - l'usura di una certa cadenza di forme.
Si giustifica così la sospensione (giunta opportunamente inattesa) di un lavoro ricco d'interrelazioni fra motivi di ordine strutturale-geometrico ed informali, fra elementi oggettuali e pittorici racchiusi in scenari di godibile artificialità, per intraprendere un nuovo tragitto (che inevitabilmente rivela non secondari punti di tangenza con il cammino già seguito, da cui pure volutamente si discosta).
Nelle "carte" che Schiavetta ora dipinge-lacera-ricompone permane infatti, a livello residuale, tanto l'oggettualità in precedenza più enfaticamente dichiarata, quanto il gioco imprevedibile dei frammenti.
Che si tratti di un "reculer pour mieux sauter" emerge palese dalle premesse. Ma, probabilmente, vien posto in essere uno di quegli scarti (due passi indietro e tre innanzi) che disattendendo una componente del discorso ne conducono una seconda all'estremo. Si ha infatti l'impressione di un focalizzarsi dell'attenzione, di un avvicinarsi vertiginoso (frutto di un procedimento mascherato di blow-up) dello sfondo. Di trovarsi fisicamente a contatto con le quinte predisposte per una ripresa in cui siamo coinvolti, tentati di appagarci della loro consistenza immaginaria, del loro linguaggio "della prossimità per la prossimità" e nel contempo ricondotti alla nostalgia dello stato di perfezione che adombrano.
s.r. (1987)