SEVERINI
Dopo la ressa di aficionados degli Impressionisti - dovuta in parte preponderante ai meccanismi dell'intrattenimento di massa; non granché distante, quindi, come fenomeno, da un varietà televisivo di successo - Villa Croce si prepara ad accogliere, in numero probabilmente più ristretto (ma forse anche più motivato), gli estimatori di Gino Severini, uno tra i protagonisti della scena artistica internazionale nella prima parte del secolo, direttamente coinvolto in alcune delle tendenze più rilevanti dell'epoca quali il Futurismo ed il Cubismo, il cui percorso è stato di recente ripetutamente indagato (rammentiamo al proposi- to la mostra fiorentina curata da Renato Barilli e quella tenutasi lo scorso anno ad Alessandria, ordinata da Marisa Vescovo).
Allievo - con Boccioni - di Balla, Severini compie il suo appren distato in una Roma di inizio secolo dove "ci si dava una pena immensa per impossessarsi delle basi filosofiche delle ideolo- gie", leggendo Marx, Bakunin. Engels e Labriola (ma anche Schopenhauer, Hegel, Nietsche, Tolstoi) senza tuttavia trascurare le scampagnate o il gioco delle bocce, formandosi, in ambito divisionista, "un atteggiamento moderno nella tecnica ma simbolista nel retroterra" che, come osserva Maurizio Fagiolo, contribuirà non poco a farlo trovare a casa sua nel nuovo clima di Parigi, città ove - con magre risorse - approda nell'ottobre del 1906.
Qui giunto,inizia una sorta di deriva negli ambienti della bohème artistica di Monmartre, tra artisti di cabaret, poeti ed operatori teatrali d'avanguardia come Paul Fort (di cui speserà più tardi la figlia Jeanne) e Lugne-Poe, in una cerchia dove era in pieno sviluppo l'esperienza dei Fauves e maturava la prospettiva cubista che sarebbe venuta pubblicamente in luce attorno al 1908 con i primi paesaggi geometrizzanti di Derain, Braque e Picasso.
Tra queste correnti, ispirate l'una "al ricordo di Gauguin e della scuola di Pont-Aven", l'altra all'"intenzione costruttiva cézanniana" Severini ipotizza una terza via personale, improntata al neo-impressionismo di Seurat, che si esprime in dipinti quali "Paesaggio a Civray" o "Marchand d'oublies", entrambi del 1908, o "Primavera a Monmartre" del 1909.
Del 1910 é la sua presa di contatto con il Futurismo, per il tramite dell'amico Boccioni che lo induce a firmare l'edizione definitiva del "Manifesto dei pittori futuristi"; dal canto proprio Severini caldeggia una presa di contatto dei co-equipiers conl'ambiente parigino - in vista di una mostra del nuovo raggruppamento nella capitale francese (mostra che avrà luogo nel febbraio 1912, presso la galleria Bernheim Jeune, e sarà recensita abbastanza ingenerosamente da Apollinaire che tuttavia elogeraà la "Danse du Pan Pan à Monico") - rivelatasi assai feconda nell'evoluzione della ricerca formale di Carrà e dello stesso Boccioni.
Severini aveva, frattanto, iniziato "a dividere le forme nello stesso modo in cui divideva i colori", constatando "come questo creasse degli insiemi del tutto nuovi e niente affatto arbitrari". Di ciò costituiscono testimonianza "Il boulevard" e "La danseuse obsedante" (1911), lavori che con il quadro già citato inaugurano la serie dei più tipici dipinti futuristi dell'autore come "Nord-Sud" o "Dinamismo di una danzatrice" (1912).
Sebbene già nel 1916, con "Maternità" e "Ritratto di Jeanne", avesse prefigurato nel puntiglioso e quasi straniato realismo della rappresentazione quel "ritorno all'ordine" ed al "mestiere" che avrebbe di lì a poco preso piede e che lui stesso riprenderà nel corso degli anni '20, nel suo periodo "classicista", tra il 1916 ed il 1919 (il "tempo de l'Effort Moderne", del rapporto con il gallerista Leonce Rosemberg, cui viene presentato da Juan Gris) Severini realizza una sequenza di tele, in specie di nature morte, ove - abbandonata l'istanza dinamica del Futurismo - vien dato spazio ad una considerazione dei rapporti armonici di colore e di forma riassunti in una sintassi cubista resa essenziale da studi matematici e dalla riflessione sui valori di una linea pittorica che corre fra Giotto, il Beato Angelico, Paolo Uccello e Piero della Francesca.
A questa fase - caratterizzata anche "dal trionfo dell'à plat, della misure di superficie, incitate a sovrapporsi ma senza mai fare aggetto, nè virtuale nè tanto meno fisico, concreto" (Barilli) nella quale spiccano dipinti come "Donna che legge" (1916) - segue quella, cui s'accennava, del c.d. "classicismo" severiniano, al cui interno s'impone la pagina del ciclo parietale di Montegufoni, popolato di maschere della Commedia dell'Arte, eseguito per la famiglia Sitwell. Qui il soggetto, "tra l'umano e l'astratto, tra la cosa inventata e la cosa reale", consente all'artista di muoversi in un'atmosfera di tenue irrealtà, con raffinati intrecci di positure che nella loro levità definiscono entro i confini della mera apparenza la natura profonda dei personaggi.
Di questi e degli ulteriori aspetti dell'attività pittorica di Severini - dalla grande decorazione murale degli anni '30 alla ripresa astratta degli anni più tardi - dà conto la mostra che oggi si apre, volta , negl'intenti dei curatori Gillo Dorfles e Pier Luigi Siena, a consentire un avvicinamento non settoriale all'opera del pittore cortonese, attraverso un centinaio di opere tra dipinti, disegni, affreschi e mosaici.
s.r. (1988)