LA NOIA DEI DOGI
Si racconta che i Dogi non potessero, durante il biennio in cui duravano in carica, uscire dal Palazzo Ducale. Situazione senz'altro spiacevole e tediosa. C'è da pensare che la mostra "El siglo de los Genoveses", in corso nello stesso luogo, integri una sorta di vendetta postuma, perpetrata ai danni dei visitatori annichiliti dall'interminabile sequenza di ritratti che si snoda fra la Loggia degli Abati ed il Munizioniere. Ridotta a campare d'espedienti (alla napoletana, diremmo, se non temessimo di offendere i partenopei e non conoscessimo l'origine tutta locale di questa politica) la programmazione culturale cittadina ha tentato di replicare l'evento Van Dyck. Identità dei curatori, affinità tematica, richiamo alle glorie del passato: l'intero dispositivo, insomma, del successo di ieri o di ieri l'altro. Con qualcosa in meno: l'apporto di un grande artista. E qualcosa in più: un allestitore creativo.
Dobbiamo confessarlo: speravamo anche noi che il trucco riuscisse. Genova ha bisogno di entrare stabilmente nel circuito del turismo culturale. E, al di là del retaggio architettonico e artistico, il richiamo delle mostre temporanee riveste un'incidenza notevole. Diciamo di più: speriamo che riesca ugualmente. Ma questo non esime dal presentare spunti di riflessione, anche al di là dell'ambito usualmente documentato in queste pagine.
Primo. La mostra Van Dyck non era priva di manchevolezze. I curatori non erano specialisti dell'autore. Mancava qualsiasi elemento di novità (nessuna autentica scoperta, nessun ribaltamento critico e via dicendo). E, più di tutto, nella prima sala, apertamente lodata come "ricostruzione storica" si schiudeva una dimensione scenografica gravida di conseguenze negative.
Secondo. Escluso Van Dyck, non restava che puntare sul contesto. Ma non essendovi un contesto idoneo (od avendolo già sfruttato all'eccesso) non restava che puntare sulla scenografia. E lo si è fatto. Solo che Pizzi non si è rivelato all'altezza del compito. E, più che stupirci con un "colpo di teatro" ci ha soffocato con specchi e velluti, pronai e balconi, finti marmi ed ipotetici tendaggi, oltrepassando abbondantemente il confine del kitsch.
Terzo. In una mostra non puramente documentaria, e gravata di costi miliardari, l'incontro con il capolavoro non può essere un fatto episodico. E deve attingere il livello dell'eccezionalità. Trasferire sette statue del Giambologna dall'Aula Magna dell'Università, dove chiunque può vederle non è gran cosa. Trasferire un Guercino da Palazzo Rosso a Palazzo Ducale o un Barnaba da Modena da Palazzo Bianco, si può fare in qualunque momento. Da fuori (Bruxelles) viene solo un ritratto vandyckiano del Senatore Imperiale e da Palermo e Napoli arrivano un paio di Fiasella (uno, sempre che autentico, decisamente brutto). Tre o quattro pezzi di interesse non fantasmagorico escono per l'occasione da raccolte private locali. Dunque? Limitiamoci a constatare che la ricerca, per quanto accurata in taluni suoi aspetti, non può sostituire la quantità alla qualità.
Quarto. L'elemento di maggior gravità consiste nel fatto che la mostra, così come allestita, distorce la storia di Genova. Che non è quella di un'oligarchia intenta solo a farsi ritrarre sul soglio dogale. Che anzi non lo è affatto. E' una storia di imprese e di guerre commerciali e (piaccia o meno) coloniali, di invenzioni finanziarie, di accumulazione di patrimoni, di relazioni internazionali e trame diplomatiche. Una storia marinara ma anche di artigianato e paleoindustria. Di coltivazioni millenarie. Nelle sale di palazzo Ducale tutto questo è cancellato: si colgono qua e là accenni alla conquista di Gerusalemme, al massacro dei Giustiniani di Scio, al bombardamento francese del 1684 ed alla umiliazione del Doge Imperiale l'anno successivo a Versailles, davanti a un Re Sole fortunatamente dotato di maggiore fair play rispetto agli odierni potentati mondiali. Infine alla calata dell'esercito napoleonico. Un po' troppo per un secolo, un po' troppo poco per la complessità della vicenda storica.
Quinto. Il comunicato stampa della mostra anticipa come essa costituisca la prima tappa di un percorso dall'omonima denominazione, destinato a concludersi nel 2004, anno in cui Genova, sarà, con altre città, capitale europea della cultura. Preso atto dell'esito raggiunto nel primo episodio c'è da augurarsi vivamente che le stazioni successive si innalzino al livello dell'obiettivo indicato.
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