Hozro: materiali sulle arti visive a Genova





EPILOGO PROVVISORIO
Giovane arte a Genova negli anni '80


Il silenzio di Genova non è vuoto di eventi, scenario d'assenza; si configura - piuttosto - come un addensarsi ed un disperdersi insonoro d'energie, un forte sentire che si spiega nella forsennatezza del lavoro od in chiuse intransigenze, un'insoddisfazione che si percepisce sotto la scorza delle cose alternata al disincanto, in un intermittente stato febbrile.
Che questa indifferenza per la voce, per l'esteriorità, che il volgersi senza riserve, ma con una sorta di pudore, alla "passione" dell'arte, all'opera come luogo di costruzione dell'identità, siano il portato di un costume secolare trapassato in propensione caratteriale od il riflesso di carenze nel sistema della cultura cittadino; che vi si esprima un sentimento di forza o - al contrario - un presagio di sconfitta è superfluo stabilire. Di certo vi è solo il dissiparsi, entro un perimetro di poche centinaia di metri, di un potenziale creativo non irrilevante.
Dall'operare - intenso - delle nuove generazioni di artisti, che attorno alla metà del decennio hanno sperimentato forme più incisive di aggregazione (d'altronde instabili), non è derivata, in concreto, alcuna trasformazione profonda dell'ambiente. Se si eccettua la creazione di un circuito off (Libreria Sileno, Sibaria Open Docks, Circolo B.N.L., Spazio Laura Poggi), attualmente in declino, e talune iniziative intese a promuovere il coinvolgimento di operatori non tradizionali ("Vetrine ad Arte", 1986) o dei giovani nel loro complesso ("Halley's Flash", 1986) che in qualche misura hanno inciso sugli sviluppi attuali, tutto sembra essersi risolto nell'affermazione di una nuova "ondata" emersa grazie ad una serie di episodi espositivi svoltisi nel circonda rio ("Pittura 70/80 in Liguria", Sestri Levante 1985; "Una situazione", Chiavari 1986; "Giovani pittori in Liguria", Genova 1987); in contesti interregionali ("GE-MI-TO!", Torino 1987; "Entro dipinta gabbia", Pisa 1987) od anche all'estero ("Aspetti della giovane pittura a Genova", Odessa 1985; "Fourteen Emerging Italian Artists from Liguria", San Francisco 1988) il cui più ragguardevole risvolto è consistito nelle aperture esibite da diverse gallerie genovesi nei confronti degli artisti "nuovi".
All'Unimedia di Caterina Gualco, che per lungo tempo è stata uno dei rari spazi accessibili ai giovani si sono infatti venute affiancando lo Studio Leonardi, la Polena di Edoardo Manzoni (pur se con una scelta di tendenza), Rinaldo Rotta, che già intratteneva alcuni rapporti stabili in quest'ambito, lo Studio B 2, il Vicolo e la galleria Pinta di Claudio Ruggieri, forse la più pronta - nell'ultimo periodo - a cogliere le trasformazioni in atto. Se dunque va riconosciuto al complesso mercantile di aver mostrato nei fatti un'attenzione sempre maggiore verso i fenomeni emergenti, occorre peraltro rilevare come i (non molti) critici operanti sul territorio abbiano, con largo anticipo rispetto ad esso, registrato i nuovi fermenti, contribuendo - con un lavoro organizzativo perseguito con ostinazione e spesso condiviso con gli artisti - a consolidarne la crescita.
Il panorama variegato dell'attività in corso si è venuto formando attraverso un processo di accumulazione di fattori assai poco omogenei fra loro ma suscettibili di reciproca reazione. Una cronologia sommaria vede negli anni fra il '75 e l'80 l'affiorare di una tendenza di matrice neo-concreta destinata a scomporsi in due tronconi: più propenso il primo ad una mediazione fra l'esigenza strutturale e la suggestione esercitata dalla materia e dal segno pittorico (Barbini, Carrossino, Fiannacca), più ortodosso il secondo (Antola, Bruzzo, Cortesogno, Torri); seguita a breve distanza di tempo dall'affacciarsi di un gruppo di artisti attivi, con modalità concettuali, sui fronti della performance, dell'environment, dello spettacolo multimediale (Bignone, Galletta, Pretolani).
All'inizio degli anni ottanta, in ambito figurativo, le prime apparizioni di artisti il cui lavoro si orienta su immagini codificate nella storia dell'arte (Bucci, Gelsomino), pur se con dislocazioni di senso anch'esse d'impronta concettuale, o su un attraversamento poetico della memoria fotografica (Passarelli) o, ancora, su una sintesi di elementi grafici punk ed Art Nouveau (Agus). Fra le ricerche di maggior peso del periodo assumono rilievo il lavoro di Mario Moronti, fondato su una tensione del gesto pittorico che - a ridosso dell'esperienza astratto-espressionista - approda ad una energica articolazione spaziale e quello di Piergiorgio Colombara, condotto attraverso una ricomposizione di frammenti trascelti per l'intrinseca allusività, in scenari quietamente onirici.
Nel campo della scultura propriamente detta, infine, sono da citare almeno i nomi di Silvia e Stefania Maisano e di Giorgio Bafico.
Da ultimo - in un contesto ove coesistono due opposte concezioni della figura dell'artista, drammatica l'una, basata su un'assunzione del disagio dell'epoca che implica un'idea di "separatezza" non disgiunta da un senso profondo di responsabilità verso la società umana; smitizzata e professionale l'altra, che può esser fatta corrispondere all'immagine dell'artmaker prospettata da Germano Celant nell'omonimo volume - la situazione è venuta caratterizzandosi per la compresenza di un coté ludico-oggettuale, accreditato come "post-futurista" (in realtà alquanto composito, giacché vi si integrano le proiezioni rigorose di Andrea Crosa, equilibrate fra matrice pop ed essenzialità geometrica; i video-quadri di Marco Lavagetto, i procedimenti di riqualificazione estetica dell'oggetto di recupero posti in atto da Antonio Porcelli; i tracciati bio-elettronici delle "pitto-sculture" di Sergio Pavone, gli ironici esercizi neo-dada di Luca Vitone) e di un polo figurativo di connotazione prevalentemente neo-espressionistica.
Di rilievo, in quest'ambito, oltre al lavoro di Giancarlo Gelsomino che è andato inclinando in questo scorcio di tempo verso una sorta di brutalismo, l'esasperazione materica di Roberto Anfossi, i "totem" di Enrico Ravera, tavole cui l'accumulo parossistico di detriti inframmezzato da squarci pittorici conferisce un'identità non più meramente oggettuale ma di "quasi-soggetto". In clima analogo, pur con diversi accenti individuali,si muovono Antonella Spalluto, Stefania Rossi, Daniel Ponte, Sandro Fracchiolla e Sonia Armaniaco, che da una modulazione prossima alle atmosfere delle Secessioni mitteleuropee si va spostando verso un'immagine (sempre "montata" a partire da altre già date) più tesa e violenta.
Fra le ricerche di maggior spicco, non paiono ascrivibili ad alcuna delle aree in precedenza descritte le elaborazioni di Stefano Grondona, basate su un singolare procedimento di origine fotografica che permette all'autore di rendere con un segno impersonale ambienti allestiti - attorno ad un vuoto mistico - con suppellettili dissimulatamente antropomorfiche, e la svolta recente di Piero Millefiore verso problematiche di scansione (e di connessione) spaziale attivate da elementi che assorbono al loro interno valenze proprie della pittura così come dei linguaggi sculturale ed architettonico. Si va inoltre configurando, con le mostre di Roberto Costantino ("Quasi niente", Studio Leonardi 1987) e di Simonetta Fadda, Ivano Sossella, Cesare Viel (galleria Pinta, dicembre 1987-gennaio 1988) una tendenza che, senza mostrarsi coinvolta nelle smanie citazioniste invalse sul principio del decennio, riprende alle radici - con inedita freschezza - un discorso concettuale. Che, nel caso di Costantino, si focalizza sul tema del senso, delle sue distorsioni e del suo limite; per Sossella verte sull'interazione di elementi casuali e di meccanismi a funzionamento preordinato (ventilatori, radio, asciugacapelli ecc.): analogamente, in certo modo, a quanto accade per Simonetta Fadda che saggia le capacità di riflessione e rifrazione di cinescopi non collegati ovvero di lenti televisive mentre Cesare Viel opera a più livelli sulla cancellazione dell'immagine.

s.r. (1988).





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