SILVESTRO REIMONDO: LINEE DI SOGLIA
Ripresa da
un'inquadratura all'altra, scoperta e insieme imposta, una simmetria che si
direbbe quasi troppo perfetta se non assolvesse una funzione precisa risucchia
l'immagine all'interno, verso la banda luminosa che l'attraversa
longitudinalmente. Scissura abbacinante o linea di contiguità, breccia o
rinserramento, questo lembo si profila senza dichiarare la sua natura. In ciò,
nulla di sorprendente: grazie all'artificio fotografico, qui rappresentato
dall'uso del grandangolo e dalla messa a fuoco ravvicinata, il luogo -
ribaltando un'espressione d'Yves Bonnefoy - s'è trasfigurato in segno,
"landa del senso". La "parete nuda" di blocchi grezzi in
cemento (forse una banchina in costruzione), "dove l'intaglio, l'erosione
hanno uno stesso aspetto deserto sul fianco del mondo" conserva la propria
fisicità scabra, ribadita dalla severità del bianco e nero, per segnare una
contrapposizione ancor più netta con la parvenza immateriale da cui è solcata.
Fotocostrizione che si risolve in "acquisto di luce" (P. Celan),
quest'ambito interstiziale aspira, secondo l'autore, a divenire sentiero,
soglia.
Non però
nel senso spaziale più consueto, suscitando la dialettica dentro/fuori indagata
da Bachelard. Piuttosto in quello della compresenza, vissuta, del distacco e
dell'ingresso, di un'esperienza esaurita e di una possibilità a venire. Una
possibilità - peraltro - disagevole, ardua, giacché una differente sequenza in
cui è messo a fuoco il piano di fondo svela un'altra parete posta ad ostruire
il varco. Ma, come ancora scrive
Bonnefoy, "se le soglie sono
illusioni, ‘insidie’, anche le insidie possono diventare occasioni per una
riflessione più lucida. E quindi, a loro volta, possono diventare soglie
attraverso le quali accedere alla verità nel proprio rapporto con sé stessi: là
dove l'essere nasce dal non avere".
s.r. (1992)